Pubblicato il: 24-1-2025
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Per quanto riguarda l’instabilità politica, basta rivolgere lo sguardo all’anno appena trascorso per comprenderne l’importanza: in Francia le elezioni anticipate hanno restituito un’Assemblea ancora più frammentata portando al primo governo sfiduciato da oltre cinquant’anni a questa parte; in Germania la coalizione Liberali, Socialdemocratici, Verdi è caduta portando il paese a elezioni anticipate; in Spagna la maggioranza di Pedro Sanchez si regge sul voto degli indipendentisti catalani che a più riprese minacciano il governo.
Il declino demografico è invece un problema più profondo. Secondo un report della Commissione, la popolazione europea passerà da 449 milioni di persone nel 2022 a 432 nel 2070. Questa contrazione demografica si traduce in un aumento della spesa pubblica per far fronte ai costi complessivi dell'invecchiamento. Si stima che questi costi passeranno da una media del 24.4 per cento del PIL nel 2022 al 25.6 per cento nel 2070.
In alcuni paesi, come l’Italia, il picco demografico sembra essere già stato passato. I dati ISTAT infatti mostrano che anche nel 2023 la popolazione italiana ha continuato a diminuire, seppur con dinamiche eterogenee. La media dei figli per donna è calata nel corso del tempo, da un valore di 1.45 nel 2008 a 1.20 nel 2023.
Queste due tendenze hanno un impatto anche sulla sostenibilità del debito pubblico, un altro tema di grande interesse. Già in precedenza alcuni paesi, tra cui il nostro, presentavano un valore del debito su PIL particolarmente elevato. Con la pandemia e la necessità di sostenere individui e imprese durante le misure intraprese per contrastare la diffusione del virus si è assistito a un aumento deciso del debito in vari paesi. Inoltre, la crisi climatica- sia per quel che riguarda gli investimenti sia per quel che riguarda i fondi per aumentare la resilienza- richiede la mobilitazione di risorse ingenti da parte degli stati.
In virtù dell’importanza delle questioni, il gruppo di lavoro Finanza Sostenibile del progetto Grins ha recentemente indagato l’impatto che hanno il rischio politico e il declino demografico sulla sostenibilità del debito pubblico.
Il primo lavoro, realizzato da Samantha Ajovalasit, Andrea Consiglio, Giovanni Pagliardi e Stavros A. Zenios, si interessa all’influenza del rischio politico sulla sostenibilità del debito pubblico. Basandosi su un modello stocastico proposto in Zenios and Consiglio et al. (2021), lo studio ha utilizzato come indicatore del rischio politico l’indice ICRG sviluppato dalla società Political Risk Services (PRS).
Il rischio politico, d’altronde, è di fondamentale importanza per gli investitori. Qualora infatti il governo si dimostrasse debole e instabile, gli investitori percepirebbero una maggior incertezza, con conseguenti effetti sul finanziamento del debito e quindi sulla crescita economica. Risultati in tal senso erano già emersi all’interno dai risultati empirici: uno studio ha riscontrato che il rischio politico aumenta i costi di finanziamento per gli Stati, mentre un altro evidenzia l’impatto negativo sui prezzi degli asset e sui rendimenti obbligazionari.
Lo studio in cui è coinvolto il gruppo di Finanza Sostenibile ha mostrato come gli effetti negativi del rischio politico sono ancora più significativi in paesi che presentano un elevato rapporto debito e PIL, proprio come Italia e Francia. Ma la dinamica politica dei due paesi è diametralmente opposta.
Nel periodo 2014-2019, infatti, l’Italia ha implementato riforme strutturali: i governi Renzi e Gentiloni hanno varato riforme come quella della pubblica amministrazione, della giustizia e provvedimenti in materia di concorrenza. L’aspetto interessante, notano gli autori dello studio, è che queste riforme pur non intervenendo sull'aspetto istituzionale - se non la riforma Boschi bocciata però al referendum- hanno portato a un aumento del rating politico del paese.
Al contrario, la Francia sta attraversando in questo momento una fase delicata dal punto di vista politico. Dopo i risultati deludenti alle Elezioni Europee del 2024 il Presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha decretato lo scioglimento dell’Assemblea e convocato elezioni anticipate. Queste hanno restituito un parlamento ancora più diviso, che di recente ha votato la prima mozione di censura con esito positivo da oltre 50 anni a questa parte.
I ricercatori hanno costruito uno scenario controfattuale per entrambi questi due casi di studio, in cui il modello non prendeva in considerazione il rischio politico. Per l’Italia emerge che la traiettoria del rapporto debito e PIL sarebbe stata considerevolmente diversa, con un netto aumento nel corso degli anni dei governi di centrosinistra, in presenza di un maggior rischio politico. Un discorso diverso per la Francia, dove l’instabilità è ancora presente sullo scenario politico. Le stime dei ricercatori segnalano come nei prossimi anni il paese potrebbe andare incontro a una dinamica del debito non sostenibile, se dovesse persistere un tale livello di instabilità politica.
Quali sono le implicazioni di questo studio? Innanzitutto, come mostra il caso italiano, le riforme strutturali possono essere cruciali per mandare segnali ai mercati. Tuttavia, potrebbero al contempo danneggiare le fasce più deboli, aggravando le disuguaglianze. Per questo motivo è necessario un’attenta implementazione di questo tipo di politiche. In secondo luogo, per la corretta valutazione della sostenibilità del debito, è necessario tenere in considerazione anche l’aspetto politico. Questo può essere fatto proprio implementando i modelli sviluppati dal progetto Grins, che possono guidare i policymaker in contesti estremamente complessi.
Il secondo articolo, che si basa sempre sul modello citato in precedenza, si interessa invece alla traiettoria del rapporto debito e PIL in cinque paesi europei con particolare attenzione all’Italia. D’altronde, il nostro paese già oggi presenta un debito pubblico particolarmente elevato. Inoltre, secondo le statistiche, l’età mediana è tra le più alte d’Europa. Le prospettive non sono particolarmente rosee: secondo le proiezioni, infatti, l’Italia vedrà aumentare dell’uno per cento i costi dovuti all’invecchiamento della popolazione. Questo, in un contesto che, secondo il Debt Sustainability Monitor, vedrà il rapporto debito/PIL raggiungere il 150 per cento.
Lo studio di Samantha Ajovalasit, Andrea Consiglio e Davide Provenzano, dell'Università di Palermo conferma questi trend. Secondo le simulazioni effettuate, l’Italia si troverà ad affrontare sfide importanti dal punto di vista fiscale. Questo, sottolineano gli autori, dipende prevalentemente da tre fattori: invecchiamento della popolazione, basso tasso di fertilità e crescita economica anemica. L’approccio seguito dallo studio, che incorpora l’incertezza nell’analisi della sostenibilità del debito, permette ai policy maker una panoramica più approfondita delle possibili traiettorie del debito al variare delle condizioni economiche e demografiche.
Quali opzioni hanno a disposizione i policy maker per affrontare la situazione?
Un tema cruciale, come confermato anche dalle stime programmatiche del governo, è l’immigrazione. In uno scenario con bassa immigrazione, la diminuzione della forza lavoro avrà un impatto negativo sull’economia e sulle entrate fiscali: questo porterebbe a un aumento considerevole del debito a partire, secondo le stime, dal 2037 raggiungendo un aumento di 20 punti percentuali nel 2052. Per questo sono auspicabili politiche per attrarre forza lavoro qualificata nel nostro paese: sia per quel che riguarda l’integrazione sia la promozione di opportunità lavorative per gli immigrati.
In secondo luogo, un ruolo è giocato dalla produttività totale dei fattori. Questo indicatore ci restituisce lo stato di salute della nostra economia. In una situazione di bassa produttività totale dei fattori, come quello a cui assistiamo da decenni a questa parte, ne va a risentire il PIL. Al fine di invertire il trend, sono necessari maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, transizione digitale e formazione. Lo stato ha un ruolo cruciale in questo tipo di policy.
Anche una situazione con un basso tasso di fertilità andrebbe a peggiorare la dinamica del rapporto debito e PIL, anche se l’effetto è minore. Andando a diminuire la forza lavoro, questo porterebbe sul lungo termine a un aumento di 4 punti percentuali. Per fare questo è necessario intervenire sul welfare state con politiche in grado di sostenere le famiglie e incentivare la natalità.
Senza politiche che intervengano su questi tre fattori, l’Italia rischia una dinamica del rapporto che minerebbe la sua stabilità.
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