Pubblicato il: 22-5-2024
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Diventa quindi fondamentale, da un lato, creare consapevolezza attraverso un’attività informativa puntuale; dall’altro, progettare interventi efficienti e capaci di tenere conto delle capacità di resilienza dei vari segmenti socio-economici della popolazione. È arrivato il momento di focalizzarsi sulla “just transition”, la transizione giusta, senza la quale è sin troppo facile per i populismi boicottare gli sforzi dei governi coinvolti. E, quindi, condannare il Pianeta a un’era di calamità dagli sviluppi imprevedibili.
Ne abbiamo parlato con Paola Valbonesi, coordinatrice dello Spoke 6 di Grins. Paola Valbonesi è anche direttrice del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno” dell’Università di Padova, dove è Professoressa Ordinaria in Economia Politica, e direttrice dell'Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica (OIPE), un network informale di ricercatori ed esperti sul tema.
Quali sono i principali temi su cui siete al lavoro nel suo Spoke? E che tipo di risultati avete raggiunto a oggi? E cosa vi proponete di raggiungere?
Il lavoro dei ricercatori nello Spoke 6 si focalizza sul disegno e sull’analisi delle politiche a supporto di una progressiva e urgente decarbonizzazione della nostra società, un processo complesso che coinvolge molti attori (individui, famiglie, imprese, istituzioni), e che necessita – per il raggiungimento di obiettivi spesso sfidanti – di un forte coordinamento nelle azioni promosse nei diversi contesti. Per questo, il lavoro del nostro Spoke è permeato da una grande interdisciplinarietà: ingegneri, statistici, agronomi, informatici, chimici, economisti teorici, empirici e sperimentali sono attivi per analizzare la transizione ecologica ed energetica, con il preciso focus sulle politiche di riduzione della CO2.
Nello specifico, nei quattro Work Package di cui si compone lo Spoke, sviluppiamo analisi di possibili scenari di decarbonizzazione in relazione all’approvvigionamento energetico, affiancandole a considerazioni sulle conseguenze sociali, economiche e redistributive delle politiche green.
Valutiamo gli impatti del cambiamento climatico e dei rischi ad esso connessi, costruendo mappe regionali che tengono in considerazione l’interazione tra rischi, come il rischio di frane, e possibili politiche di mitigazione. Inoltre, analizziamo gli effetti sulla salute delle politiche volte a ridurre l’inquinamento dell’aria (WP 6.1).
In considerazione della CO2 che viene prodotta dagli edifici, pubblici e privati, studiamo come quantificare, monitorare e migliorare l’efficienza energetica degli stessi con un focus particolare su quelli in uso delle famiglie più vulnerabili (WP 6.2).
Con riferimento agli effetti della CO2 e alle politiche di contrasto, analizziamo la consapevolezza degli individui e delle comunità nelle rispettive scelte di consumo, nonché i meccanismi incentivanti comportamenti virtuosi (WP 6.3).
Infine investighiamo le filiere di vari settori produttivi (manifatturiero, plastica, legno, tra gli altri), e degli appalti pubblici con precisa attenzione agli ostacoli per diventare “green”; oltre a focalizzarci sul ruolo delle piccole e medie imprese nel processo di decarbonizzazione (WP 6.4).
Su tutti questi “grandi” temi , i ricercatori dello Spoke 6 stanno realizzando svariati output di ricerca. Alcuni ricercatori nel WP 6.1, per esempio, si occupano di studiare il rischio di frana nei territori italiani e hanno recentemente realizzato uno strumento importante per mappare il rischio di smottamenti: una visualizzazione geografica per l’Italia che si aggiorna automaticamente per tenere conto dei cambiamenti climatici. Sempre nello stesso WP, si stanno anche calcolando indicatori rappresentativi delle emissioni inquinanti per il settore della produzione di energia elettrica, applicando il metodo dei fattori marginali di emissione (“Marginal Emission Factors” – MEF) e utilizzando dati sulla produzione elettrica, sulla tecnologia marginale (per zona, per ora) e sulle emissioni stimate per la tecnologia. Come output della ricerca saranno gli indicatori MEF aggiornati per l’Italia e, in seconda battuta, applicati a settori diversi rispetto al settore elettrico.
Alcuni ricercatori nel WP 6.2 si sono occupati dell’analisi di costi e benefici di specifiche policy in Italia, quali per esempio il “Superbonus” per l’efficientamento energetico degli edifici: l’analisi ha rivelato come, sebbene questa misura abbia contribuito alla riduzione delle emissioni, il peso sulle finanze pubbliche sia stato veramente notevole e avrà un impatto significativo nel tempo.
Sempre nel WP 6.2, in coordinamento con i ricercatori dell'Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica (un network informale di ricercatori attivi dal 2019), è stata fornita la misura della povertà energetica in Italia per il 2022: i risultati empirici hanno evidenziato una diminuzione della povertà energetica in Italia 0,8 punti percentuale rispetto all’anno precedente, nonostante un significativo aumento della spesa energetica delle famiglie italiana (+29%). Questa riduzione della povertà energetica sembra derivare dalle politiche di contrasto che hanno contribuito a mitigare gli effetti degli incrementi di prezzo. Dall’analisi emergono disparità nei valori registrati di povertà energetica a livello regionale (tra un minimo del 4,5 per cento in Toscana e un massimo del 22,4 per cento in Calabria), differenze nell’intensità del fenomeno tra aree urbane e periferia e in relazione alla nazionalità del capofamiglia (cfr. rapporto annuale OIPE – 2023).
Nel WP 6.3, alcuni ricercatori stanno realizzando un sondaggio basato su un campione rappresentativo a livello nazionale di famiglie italiane con almeno un figlio in età scolare (preferibilmente frequentante la scuola superiore), al fine di misurare l'alfabetizzazione climatica degli intervistati, le loro aspettative e i comportamenti legati al clima che vengono messi in atto, oltre ad analizzare quanto le conoscenze legate al clima siano allineate tra le diverse generazioni. I risultati di questo sondaggio permetteranno di costruire un indicatore della “alfabetizzazione climatica” dei cittadini.
Infine, nel WP 6.4, alcuni gruppi di ricerca stanno sfruttando la propria expertise nell’analisi di industrie specifiche, come nel caso della filiera della plastica: la carbon footprint dei processi produttivi legati alle materie plastiche è misurata dai ricercatori raccogliendo dati sulle emissioni in situ e in relazione alla tipologia di impresa (piccola o media).
Quello della CO2 per definizione è un tema sovranazionale. Che grado di coordinamento c’è, a suo giudizio, a oggi?
Il coordinamento a livello globale delle emissioni di CO2 se da un lato è cruciale per il raggiungimento della neutralità carbonica, dall’altro è molto complesso poiché coinvolge tutte le nazioni del Pianeta e queste hanno, tipicamente, interessi, priorità, problematiche e situazioni economico-sociali molto diverse le une dalle altre.
Negli anni ci sono state molte iniziative a livello internazionale per facilitare il coordinamento e incanalare gli sforzi verso un obiettivo comune. Un esempio è la COP (Conferenza delle Parti), che fa parte del processo negoziale dell'UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) e si concretizza in un forum in cui i rappresentanti dei paesi si riuniscono per coordinare le proprie azioni e definire accordi che possano contribuire alla riduzione delle emissioni globali di CO2.
Uno degli accordi più significativi raggiunti durante le conferenze COP è stato l'Accordo di Parigi nel 2015. Durante questo incontro gli Stati membri hanno concordato di limitare – negli anni a seguire – l'aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, con sforzi mirati a limitare l'aumento a 1,5°C.
Purtroppo, il rischio di non riuscire a rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi oggi è molto alto. Secondo l’ultimo bollettino climatico pubblicato dal Copernicus Climate Change per la prima volta negli ultimi dodici mesi il riscaldamento globale ha superato la soglia di +1,5° C rispetto al periodo 1850-1900.
La decarbonizzazione è centrale per contrastare il cambiamento climatico. La COP28 ha proposto di triplicare le rinnovabili entro il 2030. La UE ha proposto recentemente un nuovo obiettivo di decarbonizzazione al 2040. Ma non c’è solo l’Occidente che, fortunatamente, sembra avere un passo ormai spedito. Altri territori hanno visioni differenti. Qual è il quadro globale?
Recentemente, i media hanno pubblicato la notizia allarmante del nuovo record raggiunto dalle emissioni di CO2 nel 2023 a livello globale. Per avere un impatto rilevante, lo sforzo di decarbonizzazione deve essere condiviso a livello internazionale: e questa condivisione di intenti non è ancora stata raggiunta. Infatti, nonostante l’Unione Europea stia facendo moltissimo nella direzione di ridurre le emissioni, paesi come Cina ed India registrano significativi incrementi nelle emissioni: questi incrementi – di fatto – neutralizzano gli sforzi dell’Unione Europea e trainano la crescita delle emissioni globali.
Purtroppo, il quadro non sarà in miglioramento nel breve periodo: Pechino, infatti, punta a raggiungere il picco di emissioni nel 2030, e quindi registreremo aumenti di emissioni globali fino a quella data. L’assenza di sforzo della Cina a decarbonizzare si spiega con l’attuale fase espansiva della sua economia e l’abbondante disponibilità nel suo territorio di combustibili fossili a basso costo (per esempio, il, carbone). Similmente si può dire per l’India. Sarà interessante vedere se l’applicazione definitiva (attualmente siamo in fase transitoria) nell’Unione Europea del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (denominato CBAM, “Carbon Border Adjustment Mechanism”) e le pressioni interne dell’opinione pubblica cinese che hanno molto a cuore il tema green, velocizzeranno un giro di boa nelle emissioni della Cina.
Alcuni obiettivi sono ritenuti a volte troppo sfidanti. In che modo la ricerca può aiutare a valutare l’adeguatezza di un obiettivo in relazione al sistema economico e sociale di un territorio?
Per rispondere a questa necessità sono stati sviluppati dei modelli di equilibrio generale computazionale che tengono conto delle complesse interazioni tra economia, tecnologia e ambiente.
Questi modelli sono basati su importanti ipotesi la cui validità definisce il potenziale dei modelli stessi e sono in grado di modellare il cambiamento tecnologico indotto da politiche specifiche e di valutarne gli impatti sulle emissioni. Essi permettono di analizzare le conseguenze di diversi scenari, per esempio quelli che prevedono possibili variazioni nel mix energetico e nella fonte degli approvvigionamenti di combustibili, stimando gli eventuali effetti redistributivi per la popolazione coinvolta.
Il modello WITCH (www.witchmodel.org), per esempio, è uno strumento che permette valutare una gamma di scenari e politiche specifiche e consente di esplorare il potenziale di diverse strategie e scelte nella lotta contro il cambiamento climatico. Coerentemente, questi modelli permettono di valutare se un certo obiettivo sia realistico e definire l’orizzonte temporale per la sua fattibilità.
Nelle politiche di riduzione della CO2 l’efficienza abitativa svolge un ruolo molto importante. Quali gli step principali di supportare questo processo per l’Italia?
Nei paesi dell’Unione Europea, nel 2020, il 10.8% delle emissioni di CO2 sono state originate dagli usi dell’energia nell’edilizia residenziale. In Italia, il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici è una questione cruciale in considerazione del fatto che il 55% del patrimonio edilizio ha più di 40 anni, e lo stock immobiliare è responsabile di circa il 33% del consumo di energia primaria e di una quota significativa di emissioni di CO2.
Il settore residenziale, in particolare, attraverso la realizzazione di interventi di riqualificazione energetica degli edifici, presenta un notevole potenziale ai fini della riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2. A partire dal 2006, sono stati introdotti in Italia una serie di incentivi per favorire le azioni di miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, in particolare di quelli a destinazione residenziale. Una recente analisi di ricercatori del WP 6.2 mette in luce – da un parte – l’aggravio sulle finanze pubbliche generato dal Superbonus 110% in Italia e il relativo problema di sostenibilità, e – dall’altra – la necessità di disegnare con maggiore attenzione queste tipologie di incentivi. Infatti, molto rimane ancora da fare poiché il numero degli immobili riqualificati è ancora modesto.
Per stimolare gli investimenti in questa direzione è necessario disegnare e adottare nuovi meccanismi di incentivazione, che siano targettizzati, promuovano l’innovazione e riducano i costi sociali e ambientali.
La stima della riduzione potenziale dei consumi di energia primaria – e quindi del potenziale di risparmio energetico degli edifici riqualificati – è fondamentale per la definizione di meccanismi e politiche efficaci rispetto al costo.
A questo fine è necessario costruire una base informativa che consenta di individuare il layout strutturale e i pacchetti edilizi e impiantistici degli involucri dello stock immobiliare esistente e stimare il consumo di energia primaria non rinnovabile nello status quo; ipotizzare diverse tipologie di intervento per le diverse tipologie edilizie in un’ottica di stime di mass appraisal, così da confrontare la situazione ex ante ed ex post; inoltre effettuare una stima parametrica dei costi dei vari interventi. Infine, è necessario mettere in relazione le informazioni sul livello di efficienza energetica degli edifici con quelle sui consumi energetici delle famiglie (determinati anche da preferenze individuali), della loro composizione demografica e ricchezza.
E come dovrebbero essere disegnati gli incentivi per accelerare la riduzione di CO2 in questo contesto?
Al fine di favorire l’attuazione di strategie di riqualificazione energetica efficaci rispetto al costo, dovrebbero essere presi in considerazione, oltre all’età degli edifici e ai materiali da costruzione, i costi e i benefici sociali (ivi inclusi quelli ambientali), nonché la rapidità di raggiungimento gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Gli incentivi dovrebbero essere disegnati in modo da favorire, in primis, la riqualificazione di edifici molto energivori (ad esempio classe G e F nelle certificazioni APE) e di edilizia residenziale pubblica, favorendo al contempo le famiglie più vulnerabili al fine di mitigare il problema della povertà energetica.
Dovrebbero, inoltre, essere organizzate campagne informative per far emergere i benefici e i co-benefici derivanti dagli interventi di riqualificazione energetica degli edifici.
Recenti studi mettono in luce che se da un lato è stata ampiamente dimostrata la buona consapevolezza dei proprietari degli immobili e degli inquilini sui costi di ristrutturazione e sulla potenziale riduzione dei costi di approvvigionamento dei vettori energetici, dall’altro emerge una scarsa consapevolezza sui benefici delle ristrutturazioni e, in particolare, sui benefici relativi all’aumento del valore di mercato degli immobili riqualificati. Il valore monetario di benefici e co-benefici (es. miglioramento del comfort indoor e della salubrità degli ambienti) potrebbe essere di per sé uno dei motivi a supporto di decisioni di investimento di famiglie non a basso reddito, anche in assenza di incentivi.
Per i cittadini, le politiche di riduzione della CO2 comportano un cambiamento degli stili di vita. Questione mai facile da affrontare. Quali i punti principali per sviluppare politiche efficaci?
Il coinvolgimento di individui, famiglie, imprese ed istituzioni è fondamentale per attuare con successo politiche di riduzione delle emissioni di CO2. E le analisi dello Spoke 6 sono volte a supportare tale coinvolgimento.
Riferendo ai cittadini e alle comunità, nel WP 6.3 vengono sviluppate – tra le altre – analisi precise delle scelte individuali circa mobilità, consumo di energia; percezione del climate change ed effetti ad esso connessi; su comunità energetiche e compostaggio di comunità; su comportamenti circa second-hand market. L’obiettivo di queste analisi è portare a evidenza elementi utili per disegnare politiche di decarbonizzazione efficaci. In quanto segue, alcuni elementi importanti che emergono dalle analisi in corso e che sono da tenere in considerazione per innescare e sostenere l’adozione di comportamenti virtuosi.
C’è il rischio di un contraccolpo politico se gli obiettivi sono troppo sfidanti? Nel senso di perdere il contatto con le masse, e quindi avere, come esito, un ritorno del negazionismo climatico?
Sì, e ne abbiamo già avuto evidenza con i gilets jaunes, il movimento spontaneo di protesta nato sui social network nel novembre del 2018 in Francia a seguito di provvedimenti attuati dal governo Macron nell’obiettivo di incentivare la transizione ambientale. Nello specifico, questi provvedimenti (i.e. rincaro dei carburanti con maggior impatto inquinante) colpivano in modo iniquo i lavoratori che utilizzavano auto “vecchie” e risultavano residenti in aree periferiche non servite (o mal servite) da mezzi pubblici.
In generale, il rischio di mancato supporto alle scelte politiche diventa reale se gli obiettivi della decarbonizzazione e della transizione ambientale sono percepiti come eccessivamente sfidanti e se le politiche associate generano effetti distributivi, penalizzando alcuni gruppi di popolazione rispetto ad altri (spesso si sottolinea la necessità di realizzare una “just transition”). Tale rischio è spesso legato al concetto di "fatigue climatica" e al fatto che politiche troppo severe e con effetti iniqui non opportunamente compensati vadano a creare resistenza o disaffezione pubblica verso l'azione sul cambiamento climatico.
Per ridurre al massimo tale rischio è necessario sviluppare analisi ex-ante di valutazione delle politiche di transizione ecologica e di riduzione CO2 e monitoraggi durante il loro svolgimento: queste analisi/monitoraggi dovrebbero presentare l’impatto (costi e benefici) delle stesse, in considerazione dei diversi profili degli attori da queste colpiti, e dare quindi la possibilità di disegnare contemporanee azioni di compensazione/modifica per supportare l’equità della politica stessa.
È possibile pensare a politiche in grado di distribuire equamente il peso della necessaria riduzione dei gas serra? E se sì, come? Penso alla povertà energetica, per esempio.
Alcuni ricercatori dello Spoke 6 sono impegnati nella valutazione degli effetti redistributivi delle diverse politiche di decarbonizzazione. Per esempio, nel WP 6.2 dove vengono condotte analisi su come migliorare l'efficienza energetica degli edifici si procede, da una parte, allo studio di quali investimenti siano necessari allo scopo, in considerazione delle diverse tipologie di abitazioni e nelle varie aree geografiche e, dall’altra, a quantificare i costi di tali investimenti.
Queste analisi dovrebbero portare ad una “mappatura” degli interventi di efficientamento (con i relativi costi) che, unita alle informazioni sulle risorse economiche e sulla composizione delle famiglie, dovrebbero permettere una targettizzazione degli incentivi.
Questa targetizzazione degli incentivi – finanziati con risorse pubbliche – per l’efficientamento energetico delle abitazioni risulta necessaria per aumentarne efficacia ed efficienza: infatti, in questo modo, dovrebbero essere supportate maggiormente le famiglie più vulnerabili, che sono tipicamente caratterizzate da vincoli finanziari e informativi più stringenti rispetto alle famiglie benestanti.
A questo riguardo, nel WP 6.2, un gruppo di ricercatori sta lavorando – insieme ad un team dell’Osservatorio Italiano sulla povertà energetica (OIPE) – alla quantificazione, mappatura e analisi della povertà energetica in Italia. Queste analisi sono cruciali per il disegno delle politiche per la riduzione di questo fenomeno in Italia che, nel 2022, ha colpito oltre 2 milioni di famiglie (pari al 7,7% del totale, cfr. comunicato OIPE del 27/02/2024).
Le strategie produttive delle imprese possono supportare la transizione ecologica e, contestualmente, muovere verso la neutralità carbonica. Quali gli incentivi per spingere le imprese in questa direzione?
Le imprese sono attori fondamentali e imprescindibili nel percorso di transizione energetica. A target di decarbonizzazione di tipo “orizzontale”, ovvero che considerano l’economia nel suo insieme, è necessario affiancare politiche di tipo “verticale”; ovvero specifiche per i diversi settori produttivi, sulla base dell’impronta ecologica che essi presentano.
Seguendo questa logica, un gruppo di ricercatori nel WP 6.4 è impegnato nell’analisi di alcune filiere produttive specifiche (es: della plastica, del legno, dei datacenter, etc.) per comprendere quali siano le precise strategie in atto volte alla riduzione dell’impronta carbonica, utilizzando strumenti quali il Life Cycle Assessment (LCA).
Tali analisi si basano sull’analisi di database esistenti e sul disegno di nuove raccolte dati finalizzate ad individuare quali possano essere gli schemi di incentivi maggiormente efficaci per la realizzazione di investimenti mirati alla decarbonizzazione delle filiere.
Particolare attenzione viene rivolta dai ricercatori del WP 6.4 alle piccole e medie imprese (PMI) in considerazione della loro estesa presenza sul territorio italiano e dei vincoli finanziari e informativi che possono limitare la loro contribuzione alla decarbonizzazione.
Gli appalti verdi sono uno strumento per rafforzare le scelte produttive verdi delle imprese, quali le difficoltà per la loro adozione?
Uno degli obiettivi del WP 6.4 è la valutazione delle buone pratiche negli appalti pubblici per supportare la transizione ambientale attraverso gli acquisti del settore pubblico che, in Italia, nel 2022, hanno registrato un valore di 290 miliardi di euro. In particolare, i ricercatori – in collaborazione con ANAC e incrociando varie fonti di dati – stanno costruendo un dataset per la misurazione di alcuni indicatori di “greenness” degli appalti, a partire dall’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM). Utilizzando questo dataset, il passo successivo è mappare la partecipazione delle imprese all’aggiudicazione degli appalti verdi e valutare la realizzazione di tali contratti attraverso i relativi indicatori di performance (es.: time e cost overrun, rinegoziazioni, etc).
Inoltre, alcuni ricercatori stanno sviluppando dei focus specifici. Uno di questi, per esempio, studia la partecipazione agli appalti verdi delle piccole e medie imprese – che rappresentano una parte importante del tessuto produttivo italiano – nell'obiettivo di individuare i principali ostacoli e avanzare proposte su come rimuoverli. Altri focus sugli appalti pubblici si concentrano nel settore agroalimentare e pongono attenzione alle azioni di decarbonizzazione sulla filiera, in particolare al Sud Italia, e ai servizi di mensa scolastica e aziendale.
Qual è il ruolo dei dati e dei sistemi informatici nella riduzione della CO2?
Le molteplici attività di ricerca dello Spoke 6 sono accomunate da un grande impegno nella raccolta di dati esistenti e nella creazione di nuovi database utili alla ricerca orientata a supportare il disegno di politiche efficienti ed efficaci per la riduzione delle emissioni e per una “just transition”.
In particolare, la possibilità di utilizzare dati con alta granularità riferiti ai territori e che verranno conferiti nella piattaforma Amelia, aprirà allo sviluppo di successive analisi basate su modelli statistici ed econometrici per la valutazione ex-ante ed ex-post delle politiche di decarbonizzazione, anche in considerazione del coinvolgimento degli attori (individui, famiglie, imprese e istituzioni) e della loro consapevolezza nelle scelte che li riguardano.
Il nuovo indicatore per per mappare e affrontare efficacemente il problema della povertà energetica a livello locale.
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