Pubblicato il: 20-6-2025
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Il nostro studio – una revisione sistematica e analisi critica del discorso accademico su oltre 170 articoli peer-reviewed – mostra che la narrazione dominante sulle CE, quella del Community-Based Energy Transition (CBET), è fortemente idealizzata.
Dietro l’entusiasmo diffuso, si celano tensioni normative, vincoli infrastrutturali e ambiguità organizzative. Il risultato? Le comunità energetiche appaiono meno come soluzioni lineari e partecipative, e più come entità ibride, spesso vincolate tra promesse e contraddizioni.
La nostra analisi ha identificato sei “transizioni discorsive” ricorrenti nella letteratura scientifica sulle CE. Ciascuna rappresenta un cambiamento desiderato nel modello energetico, ma anche un potenziale punto di frizione tra teoria e pratica.
Nel corso della nostra review, abbiamo notato che gran parte della letteratura sulle CE adotta un tono marcatamente positivo: parole come empowerment, opportunità, inclusione dominano. In pochi affrontano temi come fallimenti, conflitti, difficoltà operative. Anche l’analisi del linguaggio emotivo nei paper lo conferma: c’è un’enfasi su sentimenti come fiducia e speranza, mentre emozioni negative – paura, rabbia, frustrazione – sono quasi assenti.
Questa rappresentazione selettiva non è solo un bias accademico. Ha effetti concreti sulla formulazione delle politiche pubbliche e sulla percezione sociale delle CE. Le comunità vengono idealizzate, mentre le condizioni materiali e organizzative per farle funzionare vengono trascurate.
Uno dei risultati centrali del nostro studio è che le CE sono ibridi. Funzionano in uno spazio ambiguo tra governance civica e gestione manageriale, tra sperimentazione locale e compliance regolativa. Non sono né semplici movimenti sociali, né mere startup energetiche.
Questa ambiguità rende difficile valutarle con i criteri tradizionali: efficienza economica, impatto sociale, replicabilità. Alcune funzionano grazie a volontariato e fondi pubblici, altre adottano modelli di business più vicini a quello delle utility tradizionali. In tutti i casi, devono confrontarsi con problemi di legittimità, sostenibilità organizzativa, e aspettative spesso contraddittorie.
Le comunità energetiche non sono soluzioni magiche, né fallimenti annunciati. Sono strumenti complessi, contestati, che si muovono tra idealismo e vincoli strutturali. Il nostro contributo non vuole demolire la narrazione positiva, ma arricchirla con una lettura più critica e realistica.
Perché le CE possano realmente contribuire alla transizione energetica, serve una maggiore consapevolezza delle loro fragilità e una governance capace di affrontare i compromessi. Bisogna uscire dalla logica binaria – successo o fallimento – e riconoscere le zone grigie dove si gioca il vero cambiamento.
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