Pubblicato il: 23-6-2025
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Tuttavia, tali percezioni non sempre corrispondono alla realtà e le conseguenti discrepanze tra il “percepito” e il “reale” possono essere alla base di scelte subottimali.
Il presente contributo, presentato da Alessandro M. Peluso, Ludovica Serafini, Aurora Martignano, M. Irene Prete, Luigi Piper e Gianluigi Guido, affronta questo problema, sottolineando come: a) non tutti i comportamenti notoriamente considerati green abbiano il medesimo impatto sull’ambiente, soprattutto in termini di risparmio di CO2 emessa nell’atmosfera; b) l’impatto percepito dei singoli comportamenti non corrisponda sempre a quello reale; e c) la difficoltà percepita vari considerevolmente tra i comportamenti, con evidenti ricadute sulla probabilità che essi siano messi in pratica dai consumatori.
Dalla fine degli anni ’90, le economie avanzate, insieme a policymaker, ricercatori e aziende, hanno iniziato a dare priorità alla sostenibilità ambientale e a incoraggiare l’adozione di pratiche più green (Goedertier et al., 2024). Anche grazie a continue e massicce campagne di comunicazione orientate a sottolineare l’importanza della sostenibilità, i consumatori oggi sono sempre più attenti a questo tema e spesso si dichiarano pronti a modificare le proprie scelte per abbracciare stili di consumo più sostenibili.
Tuttavia, a fronte di atteggiamenti, dichiarazioni e intenzioni pro-ambiente, spesso non si osservano significativi cambiamenti nei comportamenti effettivi. Una conferma di questo fenomeno è riscontrabile in un recente studio che dimostra come gli acquisti di prodotti alimentari ecosostenibili siano rimasti costantemente bassi nel corso dell’ultimo decennio (Bronnenberg et al., 2025).
Questo disallineamento tra atteggiamenti e intenzioni, da un lato, e azioni, dall’altro, è noto in letteratura come attitude-behavior gap e, ad oggi, rappresenta uno dei problemi più seri per i ricercatori di marketing e comportamento del consumatore (Johnstone & Tan, 2015; Trudel & Cotte, 2009; Young et al., 2010).
Lo studio presentato di seguito sottolinea come una possibile causa alla base di questo problema possa essere legata a una serie di distorsioni mentali che i consumatori maturano in relazione all’impatto percepito di diversi comportamenti, rispetto a quello reale, e alla difficoltà percepita di alcuni comportamenti rispetto ad altri.
In linea di principio, i ricercatori di marketing specializzati nello studio dei comportamenti sostenibili e delle strategie per promuoverne l’effettiva messa in pratica dovrebbero focalizzarsi sulle azioni a maggior impatto sull’ambiente in termini, ad esempio, di emissioni di CO2 risparmiate.
Infatti, che senso avrebbe investire tempo, energia e denaro per comprendere come incoraggiare un determinato comportamento se poi tale comportamento ha un impatto sull’ambiente trascurabile? Eppure, recenti ricerche dimostrano che negli ultimi due decenni è stato fatto proprio questo.
Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe sul piano logico, gli studiosi si sono focalizzati su come promuovere comportamenti (ad esempio, riciclare i rifiuti, ridurre lo spreco di cibo) il cui contributo effettivo in termini di emissioni di CO2 risparmiate si è dimostrato limitato, trascurando l’analisi di altri comportamenti decisamente più impattanti (ad esempio, utilizzare un mezzo di trasporto elettrico, vivere senza automobile, efficientare la propria casa a livello energetico tramite ristrutturazioni, seguire una dieta vegana).
Le Figure 1 e 2, tratte da una rassegna sistematica della letteratura di Lembregts e Cadario (2024) e basate su uno studio di Ivanova et al. (2020), riassumono in modo chiaro e incontrovertibile questa situazione.
Figura 1: Comportamenti sostenibili studiati in letteratura e relativo potenziale di mitigazione
Figura 2: Top 10 comportamenti ad alto impatto non studiati in letteratura
Alla luce di questa evidenza, appare quanto mai necessario spostare il focus di ricerca verso quei comportamenti che, benché difficilmente analizzabili sul piano delle scienze comportamentali, hanno un impatto notevole sull’ambiente in termini di emissioni di CO2 risparmiate nel caso fossero attuati al posto di altri comportamenti più inquinanti (ad esempio, uscire a piedi piuttosto che in auto).
Sulla scorta di questa riflessione, il presente studio ha riguardato un gruppo di comportamenti opportunamente selezionati tra quelli che, secondo le evidenze scientifiche, hanno un elevato potenziale in termini di CO2 risparmiata e, quindi, di mitigazione della crisi climatica (Dritsaki & Dritsaki, 2014).
Il gruppo analizzato comprende sedici comportamenti tra quelli menzionati nelle Figure 1 e 2. Lo studio empirico è consistito nel chiedere a un campione di 421 rispondenti (selezionati nel rispetto del criterio della rappresentatività della popolazione italiana) due domande specifiche per ognuno dei sedici comportamenti.
Una prima domanda riguardava l’impatto percepito in termini di emissioni di CO2 risparmiate (“Secondo Lei, quanto è forte l'impatto ambientale positivo di ciascuno dei seguenti comportamenti?”), con le risposte registrate su una scala a sette punti (1 = bassissimo impatto, 7 = altissimo impatto).
L’altra domanda, invece, riguardava la difficoltà percepita del mettere in pratica lo specifico comportamento (“Indichi quanto è difficile, secondo Lei, mettere in atto ciascuno dei seguenti comportamenti nella vita quotidiana”), con le risposte registrate su una scala da 1 a 7 (1 = molto facile, 7 = molto difficile). La Tabella 1 riporta i sedici comportamenti, presentati in ordine decrescente di livello di difficoltà percepita, con il relativo impatto positivo percepito.
Tabella 1: Comparazione tra l’impatto percepito e la difficoltà percepita di sedici comportamenti ad alto potenziale di mitigazione
Dei sedici comportamenti elencati nella Tabella 1, la top-five riguarda:
Alla luce dei valori medi riportati nella Tabella 1, è stata costruita la matrice nella Figura 3, la quale posiziona i sedici comportamenti lungo le due dimensioni indagate: l’impatto positivo percepito (sulle ascisse) e la difficoltà percepita (sulle ordinate). La matrice mostra come i cinque comportamenti sopra menzionati si posizionano nel quadrante in alto a destra (si veda la Figura 3); pertanto, rientrano tra i comportamenti percepiti come dotati di un potenziale di mitigazione alto o medio-alto, ma anche con un livello di difficoltà di implementazione medio-alta.
Quindi, il nostro studio mette in chiaro la necessità di agire sui due fronti della percezione: quello dell’impatto, cercando di rendere le persone consapevoli del reale potenziale di mitigazione di tali comportamenti, e quello del sacrificio, cercando di rendere questi comportamenti meno impegnativi agli occhi di chi li dovrebbe attuare nella vita di tutti i giorni.
Figura 3: Matrice relativa all’impatto positivo percepito e alla difficoltà percepita
La sostenibilità implica scelte che talvolta richiedono sacrificio e impegno, soprattutto perché nel momento decisivo possono entrare in gioco atteggiamenti personali, come anche fattori economici e sociali. Ad esempio, nel campo dell’adozione di misure di efficientamento energetico in ambito residenziale, è stato dimostrato come le scelte possano essere influenzate dalla sensibilità personale ai temi ambientali, ma anche da aspetti economici (come il reddito e la presenza di incentivi), sociodemografici (come l’età e il livello di istruzione) e sociali (come la presenza di testimonial sufficientemente credibili) (Prete et al., 2017).
Alla luce di tale complessità, l’individuazione di comportamenti ad alto potenziale di mitigazione delle emissioni di CO2, ma percepiti come difficili da adottare, può rappresentare un utile punto di partenza per i policymaker impegnati nello sviluppo e nell’implementazione di strategie efficaci. In altri termini, individuato un comportamento ad alto impatto positivo che vale la pena promuovere, occorre preoccuparsi innanzitutto di come rendere più semplice la sua attuazione.
Autorevoli studi scientifici (ad esempio, White et al., 2019) sostengono, ad esempio, che evidenziare come un certo comportamento sostenibile sia già adottato da molte persone potrebbe aumentare la percezione di facilità nella sua attuazione. Inoltre, la stessa volontà di “non essere da meno” potrebbe motivare chi non lo ha ancora adottato a impegnarsi veramente a farlo. Volendo fare un esempio relativo agli impianti per la produzione in autonomia di energie rinnovabili, andrebbe sottolineato in primis che sono già stati installati da una buona fetta della popolazione di riferimento e, solo dopo, che assicurano vantaggi importanti sull’ambiente.
Gli stessi studi citati sopra sostengono anche che, per motivare le persone a comportarsi in modo più sostenibile, si può far leva sull’orizzonte temporale, sul grado di concretezza e sul beneficio personale. In altri termini, occorrerebbe descrivere i benefici per l’ambiente come se fossero vantaggi immediati (piuttosto che di lungo termine), tangibili (piuttosto che intangibili) e personali (piuttosto che per la società in generale).
Volendo fare un esempio, piuttosto che limitarsi a dire che non usare l’auto sui tragitti brevi aiuta l’ambiente in quanto si emette meno CO2, bisognerebbe enfatizzare il fatto che, ove possibile, preferire spostamenti a piedi o in bici assicura un risparmio di tempo (poniamo, 3 ore a settimana risparmiate per il semplice fatto di non dover cercare un parcheggio o stare in coda) e denaro (poniamo, fino a 10€ a settimana di carburante risparmiato, tanto quanto basta per regalarsi un weekend di vacanza ogni anno).
Proprio con riferimento ai benefici personali, un ulteriore elemento di complessità riguarda la possibilità che alcuni comportamenti sostenibili vengano adottati non per convinzione autentica, ma per via della loro capacità di segnalare status. Alcuni studi hanno evidenziato che individui con tratti narcisistici possono impegnarsi in comportamenti pro-ambientali principalmente quando questi fungono da simboli di status, piuttosto che per una genuina preoccupazione ambientale (Naderi, 2018).
Inoltre, il fenomeno del moral licensing suggerisce che l’adozione di un comportamento virtuoso, come l’acquisto di prodotti ecologici, può paradossalmente legittimare comportamenti successivi meno etici, riducendo l’impegno complessivo verso la sostenibilità (Merritt et al., 2010). Questi meccanismi psicologici possono contribuire a spiegare ulteriormente le discrepanze osservate tra atteggiamenti e comportamenti effettivi in ambito ambientale.
In definitiva, spostare il focus da aspetti che possono suonare generici ad altri più immediati, concreti e personali può in effetti indurre le persone a impegnarsi di più. e il maggior impegno potrebbe a sua volta far percepire tali comportamenti come più “fattibili”, qualcosa su cui valga la pena impegnarsi per essere cittadini migliori.
Bronnenberg, B. J., Bùi, T., Deleersnyder, B., Haerkens, L., Knox, G., van Lin, A., Pachali, M. J., Paley, A., Smith, R. W., & Stäbler, S. (2025). Closing the knowledge gap: Understanding and reducing the environmental impact of food choices. Journal of Marketing, in stampa.
Dritsaki, C., & Dritsaki, M. (2014). Causal relationship between energy consumption, economic growth and CO2 emissions: A dynamic panel data approach. International Journal of Energy Economics and Policy, 4(2), 125-136.
Goedertier, F., Weijters, B., Van den Bergh, J., & Schacht, O. (2024). What does sustainability mean in the minds of consumers? A multi-country panel study. Marketing Letters, 35(2), 317-333.
Ivanova, D., Barrett, J., Wiedenhofer, D., Macura, B., Callaghan, M., & Creutzig, F. (2020). Quantifying the potential for climate change mitigation of consumption options. Environmental Research Letters, 15(9), 093001, 1-20.
Johnstone, M. L., & Tan, L. P. (2015). Exploring the gap between consumers’ green rhetoric and purchasing behaviour. Journal of Business Ethics, 132, 311-328.
Lembregts, C., & Cadario, R. (2024). Consumer-driven climate mitigation: Exploring barriers and solutions in studying higher mitigation potential behaviors. International Journal of Research in Marketing, 41(3), 513-528.
Merritt, A. C., Effron, D. A., & Monin, B. (2010). Moral self-licensing: When being good frees us to be bad. Social and Personality Psychology Compass, 4(5), 344-357.
Naderi, I. (2018). I’m nice, therefore I go green: An investigation of pro-environmentalism in communal narcissists. Journal of Environmental Psychology, 59, 54-64.
Prete, M. I., Piper, L., Rizzo, C., Pino, G., Capestro, M., Mileti, A., Pichierri, M., Amatulli, C., Peluso, A. M., & Guido, G. (2017). Determinants of Southern Italian households’ intention to adopt energy efficiency measures in residential buildings. Journal of Cleaner Production, 153, 83-91.
Trudel, R., & Cotte, J. (2009). Does it pay to be good? MIT Sloan Management Review, 50(2), 61.
White, K., Habib, R., & Hardisty, D. J. (2019). How to SHIFT consumer behaviors to be more sustainable: A literature review and guiding framework. Journal of Marketing, 83(3), 22-49.
Young, W., Hwang, K., McDonald, S., & Oates, C. J. (2010). Sustainable consumption: green consumer behaviour when purchasing products. Sustainable Development, 18(1), 20-31.
Il presente studio è stato finanziato dall’Unione Europea - NextGenerationEU, Missione 4, Componente 2, nell’ambito del Progetto GRINS - Growing Resilient, INclusive and Sustainable (GRINS PE00000018 - CUP F83C22003240001) - Titolo del Progetto: “Evidenze comportamentali per le politiche di riduzione delle emissioni di CO2: Una ricerca empirica sull’uso dell’energia e sugli stili di consumo alimentare” (ECOPOL-ENAL). I punti di vista e le opinioni espresse sono esclusivamente quelle degli autori e non riflettono necessariamente quelle dell’Unione Europea, né può l’Unione Europea essere ritenuta responsabile per esse.
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