Pubblicato il: 2-4-2024
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Fattori quali occupazione, istruzione, accesso ai servizi sociali e sanitari, partecipazione alla vita culturale, riduzione dei fenomeni criminali, iniziative di riqualificazione della forza-lavoro concorrono a migliorare la coesione e quindi a creare maggiore equità.
Con il prof. Roberto Cellini, coordinatore di Spoke 8 e ordinario di Economia Politica all'Università di Catania, abbiamo parlato del lavoro del suo gruppo di ricerca. Ma anche di disuguaglianze nella transizione verde, sfide dell'accesso universale alle cure sanitarie e dell'impatto dell'evoluzione tecnologica su categorie svantaggiate.
Professor Cellini, lei guida lo Spoke 8. A quali temi è dedicato, e come è organizzato?
Lo Spoke 8 è dedicato al tema della sostenibilità sociale e si articola in quattro gruppi di lavoro. Il primo è dedicato ai problemi metodologici e di misurazione, il secondo alla partecipazione sociale e culturale. Il terzo Work Package è dedicato a comportamenti devianti e alla criminalità: come è possibile individuare i rischi di infiltrazione criminale nelle pubbliche amministrazioni e nelle imprese aiutandosi con la tecnologia? Infine, il quarto Work Package è dedicato all’educazione imprenditoriale come strumento di inclusione: si occupa, in particolare, di individuare le best practice messe in atto da istituzioni e soggetti privati per favorire l’inclusione sociale, con particolare attenzione alle iniziative di riqualificazione della forza lavoro.
Un percorso interessante. A che punto siete arrivati?
Abbiamo già affrontato la fase iniziale di rassegna della letteratura rilevante, con particolare attenzione a quella sugli indicatori utili a misurare questi fenomeni. Abbiamo raccolto dati a livello regionale e ora stiamo lavorando alla raccolta di informazioni a livello di enti locali: un aspetto, questo, che presenta maggiori difficoltà. Sulla base di quanto raccolto finora si sono avviate delle analisi sostanziali e alcuni lavori scientifici attualmente sono già in fase di presentazione a convegni e conferenze internazionali.
Parliamo di “sostenibilità sociale”, concetto tradizionalmente meno immediato rispetto a quelli di sostenibilità ambientale ed economica. Che cosa si intende? E come si misura?
Quello di sostenibilità sociale è un concetto molto ampio, di cui esistono parecchie definizioni, ognuna legata a un focus differente. Dovendo sceglierne una, direi che è la capacità di costruire legami sociali. Ovviamente c’è un problema di interazione con gli altri concetti di sostenibilità: c’è chi vede la sostenibilità sociale come precondizione per poter ottenere quella ambientale, ma anche chi la vede come elemento complementare alle altre forme. Al riguardo, esiste una lunga tradizione di studi - non solo economica, ma anche sociologica e politologica - . E, soprattutto, c’è abbondante letteratura sul legame tra i concetti di sostenibilità sociale e quelli, per esempio, di capitale sociale, partecipazione sociale, coesione sociale. Non sono la stessa cosa. Ribadisco: non esiste una definizione più corretta delle altre. Ognuna privilegia un aspetto, ciascuna ha la propria connotazione ideologica. L’importante è esserne consapevoli.
Il dibattito sulla validità del Pil (il prodotto interno lordo) come indice di benessere è antico: è ancora attuale? E quali sono le alternative?
Direi che il dibattito su pregi e limiti del Pil è quasi secolare. Personalmente sono un difensore del Pil che, con tutti i limiti e le deficienze che lo caratterizzano, nondimeno è legato in modo eccezionalmente forte a molti altri indicatori, a partire dalla speranza di vita. Quanto alle alternative, esistono certamente molte misure correttive del Pil e indicatori alternativi: l’Indice di Sviluppo Umano (ISU) probabilmente è il più noto. Ogni correzione e misurazione è altrettanto legittima; ma, come dicevo poc'anzi, va tenuto in mente che ciascuna versione è espressione, a volte implicita a volte meno, di un insieme di valori, e quindi di un’ideologia. L’Indice di Sviluppo Umano, per esempio, oltre al reddito prende in esame scolarità e speranza di vita. Ma si può osservare che questi ultimi due elementi non sono gli unici che concorrono al benessere di una comunità: ci sono anche, per esempio, i fattori ambientali. Il Pil si potrebbe quindi correggere o migliorare tenendo conto degli indicatori ambientali; ma, anche in questo caso, non è così semplice: oltre all’inquinamento atmosferico esiste un inquinamento acustico, poi c’è l’inquinamento luminoso… Torniamo al discorso precedente: l’importante è essere consapevoli del contenuto ideologico che ciascuna modalità di misurazione esprime.
Parliamo delle disuguaglianze della transizione verde. In questi anni siamo stati chiamati a passare dalle parole ai fatti: gli impegni presi, per esempio il Green Deal europeo, stanno arrivando a scadenza, e si avverte un contraccolpo sulle comunità, chiamate a cambiare stile di vita e che a volte, nel corso del processo, subiscono un impatto anche in termini lavorativi. Come se ne esce?
Gli impegni presi costano e hanno ripercussioni redistributive: ogni qualvolta si mette in atto una politica c’è chi ci guadagna e chi, di contro, ci perde. Il presupposto è che la politica dovrebbe essere messa in atto se è la società nel suo complesso a guadagnarci: ma definire cosa voglia dire “la società nel suo complesso” non è semplice. E, soprattutto, parlare di “società nel suo complesso” non implica che le ripercussioni redistributive vi siano poi davvero. I costi non si ripartiscono mai in misura omogenea o equa, e anche qui: cosa intendiamo con questi aggettivi? Fatte queste necessarie premesse, diventa ovvio che, perché le politiche di transizione siano accettate, devono essere accompagnate da misure che si prendano carico di redistribuirne costi e benefici: in caso contrario, viene a mancare il consenso sufficiente a metterle in atto. È un tema molto attuale e scottante, questo, soprattutto dal punto di vista politico: sono possibili diverse soluzioni ai problemi, e a ognuna è sottesa una scelta che deriva dagli “a priori” politici di chi decide. Sia detto in senso positivo.
Veniamo alla sanità: come è possibile ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure?
Si tratta di un problema oggettivo, serio, che riguarda non solo i divari territoriali ma anche quelli di reddito e istruzione nei singoli territori. Le dirò, a mio parere il problema va affrontato non tanto dal punto di vista della domanda, ma da quello dell’offerta: bisogna, cioè, disegnare i servizi in modo che l’accessibilità sia garantita nonostante le differenze economiche, culturali e di istruzione della popolazione. E quindi, in sostanza, rafforzando i servizi universali di base. L’invecchiamento della popolazione ci porrà di fronte a nuove sfide: magari i servizi non verranno nemmeno più richiesti esplicitamente da una popolazione che diventa più anziana e non è sempre consapevole delle necessità che ha; si tratta, quindi, di erogare un’offerta più vicina, capillare e indipendente dalla domanda possibile.
Nel 2024 circa metà della popolazione mondiale sarà chiamata alle urne. Ma l’astensionismo è in aumento quasi ovunque. Perché? È possibile individuare un legame tra partecipazione politica e prosperità di un territorio?
È uno dei temi oggetto della nostra investigazione. Al di là della percezione di lontananza tra eletti ed elettori che secondo molti è causa dell’astensionismo, in realtà possono esserci fattori molto più specifici: le condizioni economiche chiaramente incidono sulla propensione o meno ad andare alle urne, così come incidono l’istruzione e il contesto sociale di appartenenza. Uno dei nostri lavori mira a mettere in luce con un’indagine puntuale quali possano essere le svariate ragioni dell’astensionismo. Ma la partecipazione politica non si riduce al recarsi al seggio: significa anche prendere parte a dibattiti, scrivere una lettera a un giornale, interagire tramite le piattaforme sociali. Nello Spoke 8 ci chiediamo che relazione esiste tra partecipazione elettorale e questa partecipazione politica definita in senso più ampio: per esempio, il fatto di poter facilmente partecipare al dibattito politico online è uno dei motivi per cui si va a votare di meno? Alcuni ritengono di sì, altro di no. Le faccio un altro esempio: la Casa Bianca si è dotata di una casella email a cui i cittadini possono scrivere. L’idea che ciascuno possa contattare il presidente degli Stati Uniti lo fa sentire più vicino o più lontano alla popolazione? La risposta non è banale: è possibile che qualcuno, avendo scritto direttamente al vertice dell’esecutivo e magari avendo pure ottenuto risposta, sia poi stato disincentivato dall’andare a votare. È un caso estremo, ma il concetto è che i nuovi strumenti di partecipazione digitale hanno senz’altro un effetto sulla partecipazione politica: non è chiaro, però, se di segno positivo o negativo. Su questo, al momento, abbiamo evidenze contraddittorie. Vorremmo capire da che cosa dipende l’eterogeneità dei risultati.
A proposito di criminalità organizzata: vi proponete di utilizzare la tecnologia per individuare i rischi di infiltrazioni criminali nelle imprese. In che modo?
L’idea è partire dai bilanci delle imprese e della pubblica amministrazione per capire se sia possibile costruire particolari indicatori che segnalano il rischio di infiltrazioni. Grossomodo, per semplificare, possiamo affermare che, dalle sentenze della magistratura, sappiamo quali sono le pubbliche amministrazioni infiltrate: sulla base dei bilanci o di alcune specifiche scelte di investimento messe in atto in queste realtà stiamo conducendo un’analisi per capire se esiste una corrispondenza tra l’avvenuta infiltrazione e le scelte di investimento effettuate. Un discorso simile vale per le imprese. Nel caso di questo Work Package abbiamo ridisegnato il progetto di ricerca: ci siamo resi conto che esistono già dei software che affrontano questi temi, così, anziché costruirne uno nuovo, abbiamo pensato fosse più utile valutare comparativamente quelli disponibili e capire pregi e difetti di ciascuno.
Per concludere: in che modo le categorie svantaggiate potranno reggere il peso dell’evoluzione tecnologica accelerata di questi anni? E’ chiaro che una scolarità elevata aumenta la facilità di riqualificarsi. Ma come farà chi non ne dispone?
Confermo che esiste un problema di accessibilità alle nuove tecnologie, e non dipende dalle infrastrutture, che sono più omogenee di quanto si potrebbe pensare: la differenza la fa la formazione. È questo l’aspetto più rilevante per rendere questi strumenti più accessibili a tutti. E ridurre, grazie a essi, le disuguaglianze.
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