Pubblicato il: 3-1-2024
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Nell’intreccio di crisi che stiamo attraversando, l’interesse per il ruolo dello Stato sta avendo un revival: dai politici agli accademici, dai cittadini ai mezzi di informazione. Ma, come spiega Guglielmo Barone, professore ordinario di Economia politica all’Università di Bologna, non ci si può concentrare solo sulla quantità del denaro pubblico che viene stanziato di volta in volta. Infatti, è fondamentale lavorare sulla qualità del settore pubblico, del suo funzionamento e dei suoi interventi. È proprio questo il fil rouge che percorre le attività dello Spoke 2 del progetto Grins, coordinato dal professor Barone, che ce ne parla in questa intervista.
La questione è la capacità, o l'incapacità, di fare le riforme in un Paese come l'Italia, dove le riforme hanno tipicamente un costo in termini di consenso politico. Da questo punto di vista, gli accademici possono ambire a creare evidenza empirica che, a sua volta, stimoli la domanda di riforme da parte dei cittadini. Cioè, aiutare i cittadini a capire che le riforme servono al Paese.
Il progetto di Grins si inserisce nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, uno degli strumenti principali della risposta europea alla crisi pandemica. Questa crisi ci ha portato a vedere in modo diverso il ruolo economico dello Stato e più in generale delle amministrazioni pubbliche?
Per capire da dove nasce il cambiamento del sentiment diffuso sul ruolo dello Stato nell’economia, occorre andare un po' più indietro: al 2008, quando fallì Lehman Brothers. Quello fu un punto di cesura, da cui iniziò a farsi strada l'idea che l'intervento pubblico fosse opportuno per correggere alcuni fallimenti di mercato.
Inoltre, in quegli anni l'Occidente iniziava a guardare con maggiore attenzione alla Cina, che cresceva con un'economia per certi versi molto libera, per altri molto controllata. L'insieme di questi fattori, insieme agli shock successivi (dalla crisi dei debiti sovrani fino al Covid) hanno fatto avanzare l'idea che lo Stato debba intervenire un po' di più nell'economia rispetto a quanto si pensava negli anni Ottanta e Novanta.
Nei fatti è proprio quello che è accaduto, come testimoniato dall’espansione dei bilanci pubblici e degli interventi delle banche centrali in risposta agli shock esogeni.
In Italia il dibattito sullo Stato è stato molto acceso negli ultimi anni. Quali sono le principali criticità nell’intervento pubblico in Italia, anche alla luce delle ultime misure come il PNRR?
In Italia ci appassioniamo molto a questo dibattito, perché scalda i cuori e le passioni politiche, ma pochissimi si chiedono se lo Stato funzioni oppure no. Sarebbe questa la domanda principale da farsi prima di desiderarne tanto o poco. Se ne voglio tanto ma non funziona, forse dovrei rivedere la mia posizione. Allo stesso modo, se ne voglio poco, ma funziona benissimo e fa le cose meglio del privato, forse sarebbe il caso di averne di più.
Il tema dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione pubblica è poco dibattuto pubblicamente, ma è molto noto agli addetti ai lavori. Secondo diversi indicatori internazionali, l'Italia dispone di un settore pubblico poco efficiente e poco efficace. Quindi, anche ammettendo che ci sia bisogno di più Stato, questo deve funzionare bene ed essere dotato di una struttura adeguata.
Il tema interseca il PNRR in modo cruciale. Nel momento in cui il Paese ha a disposizione un enorme quantitativo di fondi (circa 200 miliardi, alcuni dei quali vanno a debito, cioè li pagheranno i nostri figli e nipoti), bisogna capire se il Paese ha la capacità tecnica di mettere a terra questa spesa senza disperderla in mille rivoli poco interessanti e poco produttivi. Dobbiamo tenere presente che l'Italia è un paese che dalla metà degli anni Novanta ha smesso di crescere a un ritmo soddisfacente, restando indietro rispetto alle principali altre economie europee. La principale ragione di ciò è la stagnazione della produttività totale dei fattori (PTF), cioè della capacità dell'economia di combinare gli input produttivi per generare reddito. È un fattore fondamentale: per la sostenibilità del debito, per il lavoro di qualità, per l'innovazione, per il benessere.
Gli addetti ai lavori sono concordi nell'addebitare parte dell'insoddisfacente andamento della PTF a un settore pubblico poco efficiente. Tant'è che da tempo le organizzazioni internazionali (Ue, Ocse, Fondo Monetario Internazionale, ecc.) prescrivono all'Italia di migliorare l'azione pubblica. Il PNRR è solo l'ultimo atto di questa storia. Infatti, il PNRR non sono solo "soldi per fare cose" e basta. I fondi sono subordinati ad alcune riforme ritenute cruciali per migliorare il funzionamento dell’economia; tra queste alcune riguardano proprio la qualità della pubblica amministrazione. Questa è la grande partita, cioè se il Paese riuscirà ad accompagnare la spesa con riforme capaci di accrescere il potenziale produttivo.
…Pochissimi si chiedono se lo Stato funzioni oppure no. Sarebbe questa la domanda principale da farsi prima di desiderarne tanto o poco. Se ne voglio tanto ma non funziona, forse dovrei rivedere la mia posizione. Allo stesso modo, se ne voglio poco, ma funziona benissimo e fa le cose meglio del privato, forse sarebbe il caso di averne di più.
Quindi quali sono i principali ambiti dove è necessario concentrare l’azione di rafforzamento e riforma del settore pubblico?
C'è una prescrizione generale: accrescere l'efficacia (la capacità di fare le cose) e l'efficienza (la capacità di farle a costi accettabili). Poi questo principio va declinato in modo particolare a seconda del contesto, perché ogni “segmento” del settore pubblico ha le sue peculiarità. Prendiamo per esempio la scuola. Sappiamo che funziona male: in base a rilevazioni internazionali come Pisa o ai dati nazionali dell’Invalsi, sappiamo che i nostri studenti hanno forti difficoltà in lettura, comprensione del testo, matematica, etc. Intervenire nell'ambito scolastico può voler dire accettare salari differenziati tra insegnanti del Nord e del Sud, tra insegnanti più e meno meritevoli, rivedere le regole sulla mobilità, eccetera. La sanità ha altri problemi, le prefetture altri ancora. In ogni ambito, quindi, bisogna andare con la lente d'ingrandimento.
Considerando questo approccio anche microeconomico, quale sarà il contributo dello Spoke 2?
Lo Spoke 2 fornirà evidenza al decisore pubblico per stimolare l'attività di riforma e per creare il consenso (sia dal lato del riformatore sia dal lato dei cittadini) affinché il processo si metta in moto. Sperando che non siano solo “Prediche inutili”, per citare Luigi Einaudi... La questione è la capacità, o l'incapacità, di fare le riforme in un Paese come l'Italia, dove le riforme hanno tipicamente un costo in termini di consenso politico. Da questo punto di vista, gli accademici possono ambire a creare evidenza empirica che, a sua volta, stimoli la domanda di riforme da parte dei cittadini. Cioè, aiutare i cittadini a capire che le riforme servono al Paese.
È comunque un nodo difficile. Qualsiasi riforma, al di là del fatto che ci siano privilegi o no, crea vincitori e vinti. Ad esempio, se si vuole mettere a bando le licenze per avere uno stabilimento balneare, è chiaro che ci sarà qualcuno che guadagnerà e qualcuno che perderà. Di solito i guadagni sono molto dispersi nella popolazione: per il portafogli di una singola famiglia italiana risparmiare un po' sull'ombrellone ha un peso contenuto. Ma i costi sono molto concentrati su poche unità economiche, che è più facile si organizzano in modo lobbistico contro le riforme. Il fatto che i vantaggi siano dispersi e gli svantaggi concentrati rende difficile il processo di riforma.
La questione è la capacità, o l'incapacità, di fare le riforme in un Paese come l'Italia, dove le riforme hanno tipicamente un costo in termini di consenso politico. Da questo punto di vista, gli accademici possono ambire a creare evidenza empirica che, a sua volta, stimoli la domanda di riforme da parte dei cittadini. Cioè, aiutare i cittadini a capire che le riforme servono al Paese.
In un momento di crisi, la tentazione è quella di limitarsi a “gettare soldi sui problemi” (throw money at problems) sperando di migliorare qualcosa. Quali sono i limiti di un approccio simile? Come affrontare la questione della qualità delle politiche pubbliche?
Si tratta di un punto molto importante. C'è un malinteso di fondo, purtroppo condiviso dalla grancassa mediatica, dai politici e dai cittadini: ossia che l'economia cresca spendendo i soldi - un approccio alla Keynes, ma mal compreso.
Che l'economia cresca attraverso la spesa pubblica è vero nel breve periodo, quando c'è bisogno di politiche anticicliche. Ma nel lungo periodo un'economia cresce se si aumenta la capacità di combinare i fattori produttivi. La spesa pubblica può giocare un ruolo solo nella misura in cui accresce il potenziale dell'economia. Tipicamente, la spesa in infrastrutture rientra in tale categoria. Invece, per fare un esempio, l'assunzione di mille forestali quando se ne hanno già diverse migliaia non favorisce la crescita; risolve solo i problemi reddituali di alcune famiglie.
Ovviamente, merita un discorso a sé la spesa pubblica per i bisogni fondamentali e per il welfare state, anche se pure in questo caso bisogna prestare attenzione agli indicatori di efficienza.
Che l'economia cresca attraverso la spesa pubblica è vero nel breve periodo, quando c'è bisogno di politiche anticicliche. Ma nel lungo periodo un'economia cresce se si aumenta la capacità di combinare i fattori produttivi. La spesa pubblica può giocare un ruolo solo nella misura in cui accresce il potenziale dell'economia.
Quale vuole essere il ruolo dello Spoke 2 nel miglioramento della qualità delle politiche? Nella pratica, che significa “valutare” una politica pubblica?
"Valutare" è una parola che ha molti significati in italiano. Dal punto di vista di un economista, non vuol dire "rendicontare". Innanzitutto, "valutare" significa definire qual è l'obiettivo di una certa politica pubblica. Ad esempio, potremmo essere interessati a valutare un programma che vuole aiutare le persone a trovare lavoro con un corso di formazione. Il secondo punto fondamentale è verificare se la politica in questione è stata efficace. Nel nostro esempio, dovrei confrontare l'esito di due gruppi: il primo, composto dalle persone che hanno seguito il corso di formazione; il secondo, composto da persone che non hanno seguito il corso, ma che sono simili al primo gruppo. Svolgo quello che si chiama un esercizio controfattuale: confronto l'esito dell'intervento pubblico con l'esito in assenza di intervento pubblico. Negli ultimi trent'anni, c'è stato un enorme sviluppo di tecniche statistico-econometriche e un grande aumento della disponibilità dei dati, ma ancora non si è diffuso questo tipo di valutazione. Spesso, le politiche pubbliche vengono implementate giusto per rispondere a bisogni della base elettorale, per sventolare slogan o addirittura scalpi.
Negli ultimi trent'anni, c'è stato un enorme sviluppo di tecniche statistico-econometriche e un grande aumento della disponibilità dei dati, ma ancora non si è diffuso questo tipo di valutazione. Spesso, le politiche pubbliche vengono implementate giusto per rispondere a bisogni della base elettorale, per sventolare slogan o addirittura scalpi.
Tra gli obiettivi dello Spoke 2 c’è la realizzazione di un portale sui risultati delle politiche pubbliche. Come funzionerà?
Vogliamo creare un osservatorio sull'efficacia delle politiche in senso controfattuale (come spiegato prima), chiedendoci: le politiche funzionano o no rispetto all'obiettivo? Ci sono effetti collaterali?
Esiste un'enorme letteratura accademica sulle politiche microeconomiche, dalla ricerca di lavoro agli incentivi alle imprese, fino alle politiche urbane. Il problema è che i risultati di queste ricerche restano nelle biblioteche e non sono accessibili al tipico policy-maker, come l'assessore di un comune di dimensione media o il funzionario di un ministero. Anche qualora questo policy-maker volesse entrare in contatto con i risultati delle ricerche della comunità scientifica sul tema di interesse, non avrebbe modo di accedere a queste informazioni, perché sono scritte nella lingua esoterica delle pubblicazioni scientifiche.
Dunque, l'idea è quella di creare un portale che chiamiamo What Works (Cosa Funziona) che, per ambiti di politiche pubbliche, comunica all’utente la conoscenza che ne ha la comunità scientifica: sono politiche che funzionano? A quali condizioni? E via dicendo. L'obiettivo è aggiungere un pezzettino di informazione per aiutare il policy-maker ad avere una visione più strategica. Oggi una piattaforma del genere esiste in altri Paesi, ma non in Italia. Essa aiuterebbe anche ad aumentare la trasparenza delle decisioni politiche e del dibattito, fornendo una base fattuale, con evidenza validata secondo i metodi della comunità scientifica in modo apolitico, disinteressato e terzo.
Il problema è che i risultati di queste ricerche restano nelle biblioteche e non sono accessibili al tipico policy-maker, (...) dunque, l'idea è quella di creare un portale che chiamiamo What Works (Cosa Funziona) che, per ambiti di politiche pubbliche, comunica all’utente la conoscenza che ne ha la comunità scientifica
Questo discorso si lega a un altro obiettivo dello Spoke 2, ricostruire la fiducia fra cittadini e amministrazioni pubbliche. Un’esigenza sempre più pressante nelle democrazie liberali, basti pensare alla “Convenzione per il clima”, l’assemblea di cittadini voluta dal presidente francese Emmanuel Macron nel 2019 dopo le proteste dei gilet gialli e ispirata alla democrazia deliberativa di Jürgen Habermas. Quali obiettivi si pone il vostro lavoro su questo tema?
Nel suo piccolo, il nostro Spoke vuole intervenire con alcuni contributi. Uno dei nostri progetti è la creazione di un portale che raccolga in modo trasparente le sedute dei consigli comunali di diversi comuni italiani. Alcuni comuni già pubblicano i video delle sedute, ma di fatto sono dati inservibili: un consiglio comunale può durare ore ed ore, e nessuno ha il tempo di stare lì a guardarlo tutto. Oggi, grazie a tecniche di intelligenza artificiale e analisi testuale, è possibile estrarre informazioni salienti da una mole di dati notevole (come due ore e mezza di consiglio comunale), estraendo le informazioni fondamentali: i temi dei dibattiti, la loro rispondenza alle promesse elettorali, il tono utilizzato nelle discussioni, eccetera.
Un altro progetto è "La parola agli esperti". Vorremmo creare un gruppo di 200-300 esperti (docenti universitari in materia economica e professionisti) ai quali chiedere ogni tre settimane un'opinione, anche di pancia, sui temi caldi del dibattito di politica economica del momento. L'obiettivo è evitare una polarizzazione puramente partigiana. Piuttosto che schierarci secondo le nostre preferenze politiche, sentiamo cosa hanno da dire le persone che per cultura, formazione e lavoro costituiscono un osservatorio privilegiato. Questo aiuterebbe i cittadini, ma anche i grandi mediatori culturali, ai quali offriamo uno strumento gratuito che riassume l'opinione degli esperti, mostrando se c'è un consenso oppure no. Ciò scoraggerebbe anche le operazioni di cherry picking molto diffuse fra i giornalisti, che spesso cercano il singolo esperto che dica loro proprio quel che vogliono sentirsi dire.
Un altro dei vostri obiettivi è misurare le preferenze e i comportamenti di cittadini e politici in modo da far emergere rispettivamente bisogni e responsabilità (accountability). Come immaginate il funzionamento di questo processo?
Immaginiamo che un politico dica: "Quando eravamo al governo abbiamo aumentato la spesa per la sanità". È un'affermazione fattualmente verificabile. Spesso, però, i politici usano affermazioni evocative, ma non falsificabili. Immaginiamo che un politico dica: "Il nostro governo si è sempre impegnato con forza a favore dei diritti delle minoranze". È un'affermazione non verificabile. Lo Spoke 2 vuole affrontare questo nodo raccogliendo tutte le dichiarazioni dei politici, classificandole (in parte manualmente, in parte con intelligenza artificiale) per capire se sono verificabili o no, e creando un indice di verificabilità - cioè quanto tali affermazioni sono sfuggenti e quanto invece sono passibili di verifiche ex post. Questo lavoro vuole esercitare una funzione di disciplina delle affermazioni dei politici. Dal lato dei cittadini, abbiamo in mente alcune indagini (survey) per mettere in luce i colli di bottiglia nel rapporto tra cittadini e settore pubblico, sia per l'aspetto politico sia per quello dei servizi, che negli ultimi anni pare essersi incrinato.
Lo Spoke 2 vuole affrontare questo nodo raccogliendo tutte le dichiarazioni dei politici, classificandole (in parte manualmente, in parte con intelligenza artificiale) per capire se sono verificabili o no, e creando un indice di verificabilità
Quale ruolo può giocare la maggiore disponibilità dei dati pubblici nella ricostruzione del rapporto di fiducia fra cittadini e Stato?
La cultura dei dati aperti si sta lentamente diffondendo, a volte anche in forza di legge. Bisogna distinguere tra offerta e domanda di dati. In questo momento, in Italia sono carenti entrambe. C'è poca disponibilità di dati, ma probabilmente ce n’è anche poca richiesta da parte dei cittadini. Noi lavoriamo soprattutto sul primo versante, quello dell'offerta, fornendo dati soprattutto a cittadini e giornalisti. Bisognerebbe lavorare anche dal lato della domanda, ma è chiaro che, senza un'offerta adeguata, è difficile stimolarla.
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