Pubblicato il: 19-11-2024
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Una delle più grandi rivoluzioni degli ultimi decenni è rappresentata dalla mole di dati che riusciamo a raccogliere con un livello di granularità sempre maggiore e dalla crescente capacità computazionale con cui i computer possono elaborarli. Se un tempo ricercatori e ricercatrici potevano fare affidamento solo su una quantità limitata e di scarsa qualità di dati, ad esempio case study di dimensioni risibili o dati aggregati, oggi la raccolta di dati è più precisa e puntuale.
Ciò ha comportato un cambio di prospettiva notevole in certe discipline, tra cui l’economia. In un primo momento la scarsità di dati aveva portato a uno sviluppo formale, fatto di teorie e modelli spesso diversi tra di loro. Questo aveva un impatto anche sui policy maker che dovevano fidarsi ciecamente di una teoria o dell’altra per implementare le loro politiche.
Lo Spoke 2 di Grins, lavora proprio per fornire al decisore pubblico dei dati concreti, utili a innescare un processo di riforma supportato sia da chi propone le modifiche sia dai cittadini. Come ammoniva Luigi Einaudi nelle sue “Prediche inutili”, resta cruciale superare l’impasse di un Paese come l’Italia, dove spesso le riforme scontano un alto prezzo in termini di consenso politico. In questo contesto, il ruolo degli accademici è proprio quello di generare evidenze empiriche capaci di alimentare la richiesta di cambiamento da parte dei cittadini, sensibilizzandoli sull’importanza delle riforme per il futuro del Paese.
Nel meeting di settembre 2024 del progetto Grins, il prof. Barone ha aggiornato i partecipanti dello stato di avanzamento lavori del suo gruppo, coordinato dall’Università di Bologna.
I dati ci hanno invece garantito una maggior aderenza alla realtà, spesso portando a rivedere le teorie che avevano monopolizzato il campo per decenni. Un esempio paradigmatico su come la ricerca possa laicamente supportare la policy risale a qualche anno fa e riguarda il salario minimo. Per decenni gli economisti avevano ritenuto che, nonostante le buone intenzioni, lo strumento andasse in realtà a danneggiare i lavoratori.
Con un salario minimo più alto di quello di equilibrio - cioè quello che lavoratori e imprese raggiungono nel mercato - questo avrebbe aumentato la disoccupazione. Fu proprio con l’elevata disponibilità di dati e i rispettivi metodi sviluppati per analizzarli che questa diffidenza cominciò a venire meno. Negli anni ‘90 i due ricercatori David Card e Alan Krueger si sono serviti di un metodo empirico innovativo per studiare la questione: il difference in differences. I due hanno infatti sfruttato un cambiamento di policy: lo Stato del New Jersey aveva recentemente approvato un aumento del salario minimo rispetto alla base federale. Al fine di studiare gli effetti di tale misura Card e Krueger confrontarono la dinamica dell’occupazione nel settore dei fast food (un settore che utilizza molto lavoratori con salario minimo) del New Jersey con quello della Pennsylvania.
Questo permetteva di rifarsi al metodo sperimentale per poter trarre delle implicazioni causali sull’effetto di un aumento del salario minimo. Per comprenderlo, consideriamo per un attimo il caso delle scienze esatte. Quando si vuole approvare un vaccino, ad esempio, è necessario comprenderne la sua efficacia. Per farlo, si sceglie in maniera casuale un gruppo di persone a cui somministrare il vaccino (detto gruppo trattato) e un altro gruppo a cui somministrare un placebo (detto gruppo di controllo). Andando a stimare le differenze nei due gruppi dopo la somministrazione del vaccino si può studiare quindi se il vaccino è efficace nel proteggere dall’infezione o dall’insorgere della malattia. Card e Krueger usarono, quindi, il New Jersey come gruppo trattato e la Pennsylvania come gruppo di controllo. In particolare stimarono l’andamento dell’occupazione prima e dopo l’aumento del salario minimo. La differenza tra i trend prima e dopo questa policy rappresenta, semplificando, l’impatto del salario minimo sull’occupazione. Quello che emerse dallo studio fu che il salario minimo non diminuiva l’occupazione, ma anzi la aumentava. Da quel momento la ricerca sul salario minimo si è fortemente sviluppata e ha via via affinato la nostra conoscenza riguardo al tema e i suoi impatti sull’occupazione, più complessi di quello che prevedeva la teoria economica.
Proprio su questa corrente di ricerca, che utilizza dati e metodi per rispondere a domande cruciali per la corretta implementazione delle policy, si concentra una parte del lavoro dello Spoke 2 del progetto Grins (Settore pubblico: disegno delle politiche e performance), coordinato dal professor Guglielmo Barone dell’Università di Bologna.
In particolare, il primo progetto presentato durante il Meeting Annuale di Grins, si pone l’obiettivo di rendere più accessibile l’utilizzo nel processo decisionale dell’ampia evidenza, basata sull’analisi dei dati, disponibile sull’efficacia delle politiche micro. Questa evidenza permetterebbe una maggior efficacia delle politiche e del loro design per raggiungere gli obiettivi posti dal policy maker.
Ma il suo utilizzo è vincolato da vari fattori. In primo luogo la poca attenzione rivolta alla divulgazione sul fronte della produzione accademica. C’è poi un aspetto temporale. I dati non sono verità rivelata, ma dipendono dai metodi utilizzati e dalle assunzioni che sono state fatte, anche quando si tratta di modelli statistici. Per questo motivo, non basta un singolo studio per fornire una panoramica dell’evidenza che possediamo su un determinato tema, ma servono le cosiddette meta-analisi. Si tratta di analisi che come dati per l’indagine utilizzano proprio gli studi sul tema, cercando di fornire attraverso modelli statistici il quadro d’insieme su un determinato tema. Il problema è che, ovviamente, questo processo richiede tempo, sia per quel che riguarda gli articoli da selezionare per l’analisi, sia per quel che riguarda l’analisi vera e propria.
Ma anche sul fronte Pubblica Amministrazione e policy maker vi sono dei vincoli di tipo cognitivo.
Come commenta il prof. Gugliemo Barone, ordinario di Economia a Bologna e coordinato dello Spoke 2:
Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito a due fenomeni apparentemente scollegati tra loro. Da un lato, l’economia italiana ha perso terreno rispetto ad altri grandi paesi europei; dall’altro, gli economisti empirici hanno iniziato a utilizzare sempre di più metodi sperimentali, oggi diffusissimi, che permettono di conoscere con un ottimo grado di approssimazione gli effetti delle politiche economiche. Abbiamo poi compreso che parte del ritardo dell’economia italiana dipende dall’attuazione di cattive politiche, che magari costano molto in termini di finanza pubblica ma non sortiscono gli effetti sperati, o addirittura ne sortiscono di nocivi. E questo è un esito paradossale perché come comunità scientifica sappiamo moltissimo dell’impatto delle politiche ma, purtroppo, questa conoscenza è spesso inaccessibile al policy maker.
Per far fronte a questi limiti è stato pensato il progetto Policy Artificial Intelligence Digest (POLICYAID) una piattaforma basata su AI per decisioni basate sull’evidenza. Il primo step del progetto riguarda proprio il co-design con i policy maker. Poiché lo strumento ha la funzione di informare sull’evidenza scientifica, è necessario che sia pensato assieme ai loro utilizzatori che dovranno individuare i fabbisogni informativi necessari e i format che permettano di oltrepassare le barriere con l’accademia. Questo verrà fatto attraverso focus group, interviste, questionari.
Il secondo step va al cuore della questione attraverso lo sviluppo di un algoritmo di intelligenza artificiale che prenda come input l’insieme degli articoli rilevanti per il tema e restituisca come output la sintesi delle evidenze. All’interno del processo vi saranno dei filtri per gli articoli, che terranno conto della qualità degli studi. Grazie a questo algoritmo, il processo di analisi dell’evidenza empirica su un determinato tema sarà molto più tempestivo, permettendo una maggior integrazione con i tempi della politica. Questo algoritmo sarà poi integrato nella piattaforma AMELIA.
Gli altri due progetti in corso nel WP 1.2 affrontano questioni simili, ma attraverso il coinvolgimento di esperti. Il primo, Pool of Experts, si ispira all’Experts Panel del Kent Clark Center. Questo progetto si basa sul consultare vari esperti nel campo dell’economia e delle scienze sociali per restituire le loro opinioni su un determinato tema. Queste opinioni sono pesate rispetto al campo di specializzazione di coloro che rispondono.
Preso atto della mancanza di opinione qualificata, tempestiva e sintetica su questioni di attualità di politica economica, il progetto coinvolgerebbe circa 350 esperti, su invito, provenienti da vari settori - dall’accademia all’impresa. Il grado di accordo su determinati statement di politica economica viene misurato su 5 diversi livelli. In questo modo, si avrebbe una panoramica su argomenti di attualità provenienti da esperti del settore che garantirebbe una più adeguata informazione su temi che interessano il dibattito pubblico. Il progetto è rivolto non solo ai cittadini che vogliono farsi un’idea su determinati temi, ma anche a giornalisti e altri corpi intermedi che vanno a influenzare il dibattito.
Il secondo lavoro, che sta però subendo vari ritardi a causa di problematiche di tipo burocratico, riguarda la creazione di una piattaforma non commerciale, PoolPo, in grado di connettere ricercatori e più di 50 mila volontari per raccogliere dati per survey o esperimenti. Questo sarebbe fatto nel pieno rispetto dell’anonimato, un tema centrale in questi anni in cui dati a livello individuale sono sempre più presenti.
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