Pubblicato il: 11-2-2025
Condividi
Condividi
L’edizione 2025, intitolata "Unpacking STEM Careers: Her Voice in Science", metterà in luce non solo il divario numerico tra uomini e donne nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), ma anche la qualità e l’accessibilità delle opportunità professionali per le scienziate. L’obiettivo è dare voce alle protagoniste della ricerca, analizzando le barriere ancora presenti e individuando strategie concrete per il cambiamento.
In questo contesto, il partenariato Grins, che riunisce oltre 500 ricercatrici e ricercatori, ha superato fin dall’inizio la soglia minima del 40% di personale femminile, richiesta dalle indicazioni del PNRR. Tuttavia, con l’avvicinarsi della fine del ciclo di finanziamento, diventa essenziale consolidare le carriere femminili, non solo nel mondo accademico ma anche nelle imprese.
Le discipline STEM sono spesso considerate il motore dello sviluppo tecnologico ed economico, ma restano segnate da una forte disparità di genere. Secondo l’UNESCO, le donne rappresentano meno del 30% dei ricercatori a livello globale. In Italia la percentuale sale al 34%, ma il divario inizia già nei percorsi formativi: solo il 30% delle studentesse sceglie di intraprendere studi STEM.
Il problema non è solo l’accesso, ma anche il percorso e il riconoscimento: nonostante risultati accademici equivalenti, stereotipi e condizionamenti sociali spingono gli uomini verso ruoli tecnici e strategici, mentre le donne rimangono spesso in posizioni percepite come meno centrali. La presenza femminile si assottiglia ulteriormente nei ruoli apicali, come dimostra il numero ridotto di donne premiate con il Nobel nelle discipline scientifiche. Questo non è solo il risultato di una minore partecipazione, ma anche di meccanismi strutturali come l’effetto Matilda, che porta a sottovalutare i contributi delle donne nella scienza, alimentando un circolo vizioso di invisibilità.
Se il dibattito sulla parità di genere nelle STEM è ormai centrale, meno attenzione è stata riservata alle discipline economiche, altrettanto cruciali nel determinare le dinamiche sociali e di potere. Le donne sono ancora sottorappresentate nelle posizioni di vertice in ambito finanziario e manageriale, nonostante una crescente partecipazione ai percorsi accademici di economia. Anche qui persistono barriere culturali e strutturali che rallentano la piena inclusione e valorizzazione delle competenze femminili. È importante ampliare lo sguardo e includere nel dibattito anche l’equità di genere nelle scienze economiche.
Nel 2023 il premio della Banca di Svezia per le scienze economiche, comunemente chiamato Premio Nobel per l’Economia, è andato a Claudia Goldin. Nel corso della sua carriera Goldin ha proprio studiato le dinamiche di genere nel mercato del lavoro, testimoniando i progressi compiuti in tal senso.
Ma la strada da percorrere per abbattere la discriminazione di genere è ancora lunga, soprattutto nel campo dell’economia. Basti pensare, appunto, al numero di donne che hanno vinto il Nobel. Prima di Goldin, soltanto altre due donne si sono viste assegnare il premio. La prima è stata Elinor Ostrom, nel 2009, per i suoi lavori sulla gestione delle risorse comuni, come la soluzione alla “Tragedy of Commons”. Durante il suo discorso di accettazione, Ostrom dichiarò che non sarebbe stata l’ultima. Dovettero passare però altri dieci anni prima di vedere un’altra donna premiata: Esther Duflo divenne la più giovane vincitrice del Nobel per l’Economia nel 2019.
Oltre all’aspetto aneddotico, i dati mostrano le profonde differenze di genere in seno al campo dell’accademia economica. Secondo un rapporto del 2019 pubblicato dall'American Economic Association (AEA), le donne rappresentano solo il 30% dei professori associati e il 15% dei professori ordinari nei dipartimenti di economia degli Stati Uniti.
In Europa, la situazione non è molto diversa. Un rapporto dell'European Economic Association (EEA) del 2020 ha evidenziato che solo il 25% dei professori ordinari in economia sono donne. Inoltre, le donne sono meno rappresentate nelle posizioni di leadership, come i direttori di dipartimento o gli editor di riviste accademiche. Anche al di fuori del campo accademico la situazione non è differente.
Nonostante gli esempi di Christine Lagarde a capo della Banca Centrale Europea o di pochi esempi come María Jesús Montero in Spagna e Rachel Reeves nel Regno Unito, sono ancora poche le donne che ricoprono ruoli istituzionali legati all’economia nei governi.
Sono vari i fattori che influenzano questo fenomeno, alcuni in comune alle altre discipline, altri invece specifiche dell’economia.
Tra i fattori comuni - non solo in accademia, ma anche nel mondo del lavoro - c’è il peso pagato dalle donne per la maternità. Questo aspetto, appunto, è trasversale. Vari studi hanno esaminato l’impatto che la maternità ha sulle dinamiche lavorative e sui salari: uno studio svolto negli Stati Uniti ha evidenziato come la maternità riduca in media di un 5 per cento il salario per ogni figlio. Questo dipende dal mancato avanzamento lavorativo, come suggerisce un lavoro di Goldin e coautori.
Infatti, le donne con figli hanno meno probabilità di essere promosse a posizioni di leadership rispetto alle colleghe senza figli. Nell’accademia economica, sottolinea uno studio recente, da anni si assiste a uno stallo dei progressi nel combattere questa forma di discriminazione. Tuttavia, solo una parte di questo stallo è dovuta alla penalizzazione da maternità.
A giocare un ruolo fondamentale sono infatti gli stereotipi di genere. Anche in questo caso si tratta di un aspetto che accomuna l’accademia con altri settori. Come sostenuto in un editoriale da due esperti, il lavoro delle donne viene spesso considerato come meno innovativo o geniale rispetto a quello dei colleghi uomini. Si tratta di un pattern che emerge in vari settori, dall’accademia all’arte.
Uno studio condotto ha dimostrato che gli articoli scritti da donne economiste sono soggetti a un processo di revisione più rigoroso e richiedono più tempo per essere pubblicati rispetto a quelli scritti da uomini. Inoltre, le donne sono spesso sottorappresentate nelle conferenze accademiche e nei panel di discussione, il che limita la loro visibilità e influenza nel campo.
Questa discriminazione ha conseguenze significative non solo per le donne economiste, ma anche per il campo dell'economia nel suo complesso. La mancanza di diversità di genere limita la varietà di prospettive e approcci nella ricerca economica, riducendo potenzialmente l'innovazione e la rilevanza delle politiche economiche proposte.
Inoltre, la discriminazione di genere può portare a un ambiente di lavoro ostile, con conseguenze negative per il benessere psicologico e la produttività delle donne accademiche. Non solo, andando a ridurre il numero di donne economiste in accademia oggi questo tipo di pregiudizi porta poi a un minor numero di modelli positivi a cui ispirarsi. Uno studio ha infatti evidenziato l’importanza di modelli di successo a cui ispirarsi per le giovani studentesse e ricercatrici.
Questo si intreccia con il fatto che l’economia come gli ambiti STEM sono caratterizzati da alta competizione, dove il successo è misurato attraverso pubblicazioni su riviste di alto impatto, citazioni e finanziamenti per la ricerca.
Tuttavia, questa competitività è spesso modellata su una visione maschile di ciò che significa "eccellere". Studi hanno dimostrato che le donne tendono a essere meno aggressive nel promuovere il proprio lavoro e meno propense a partecipare a dinamiche competitive rispetto ai colleghi maschi. Inoltre questa cultura della competitività spesso premia comportamenti assertivi e dominanti, che sono socialmente più accettati negli uomini che nelle donne. Infatti, quando le donne adottano questi comportamenti, rischiano di essere percepite come "troppo aggressive" o "poco collaborative", un fenomeno noto come "double bind".
Questo clima si riflette nei temi di ricerca, nei metodi e nelle priorità delle ricerche. Ad esempio, temi tradizionalmente associati alle donne, come l'economia del lavoro, l’istruzione, gli aspetti sociali o le disuguaglianze di genere, sono spesso considerati "di nicchia" o meno prestigiosi rispetto a temi come la macroeconomia o la finanza.
C’è poi il tema delle molestie verbali o sessuali. Un'indagine condotta dall'American Economic Association (AEA) nel 2019 ha rivelato che quasi il 50% delle donne economiste ha subito qualche forma di molestia durante la loro carriera, con cento economiste che hanno dichiarato di esser state vittime di violenze sessuali da parte di un collega e oltre 200 di un tentativo.
Fin dalla sua nascita, il progetto Grins, che coinvolge oltre 500 persone, ha posto un’attenzione particolare alla parità di genere, seguendo le linee guida del PNRR e rispondendo alle indicazioni dell’UNESCO Science Report: Towards 2030. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, infatti, integra questi principi tra i suoi requisiti fondamentali, riconoscendo l'importanza di ridurre il divario di genere nel settore scientifico.
Secondo il rapporto UNESCO, sono diversi i fattori che contribuiscono alla ridotta presenza femminile nelle carriere STEM: dal soffitto di cristallo al cosiddetto “muro materno”, passando per criteri di valutazione poco equi, scarsa valorizzazione delle figure di leadership femminili e bias di genere, spesso inconsapevoli ma profondamente radicati.
Abbiamo coinvolto in una discussione aperta su questi temi alcune delle leader donne della rete Grins.
"Se guardiamo alle carriere accademiche", osserva Paola Valbonesi, coordinatrice dello Spoke 6 di Grins sulle Politiche di Decarbonizzazione e Direttrice del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali - Unipd, "possiamo notare una buona rappresentanza femminile nelle discipline economiche e nelle scienze sociali. Tuttavia, man mano che si sale ai livelli apicali, la disparità cresce: il numero di professoresse ordinarie, ad esempio, è ancora nettamente inferiore rispetto a quello dei colleghi uomini. E la situazione risulta peggiore nelle carriere STEM. Nonostante ciò In ogni caso, è innegabile che qualcosa stia cambiando. La presenza di numerose rettrici, direttrici di dipartimenti e responsabili di centri di ricerca nelle università italiane dimostra che la trasformazione è in corso. Tuttavia, affinché non resti solo formale, è necessario accelerarne il ritmo e soprattutto consolidarne gli effetti. In particolare, ritengo possano giocare un ruolo fondamentale azioni specifiche per le carriere delle giovani ricercatrici, nonchè attività di '1mentoring' per le loro scelte".
Ma le difficoltà non si esauriscono con l’accesso ai ruoli di vertice. Monica Billio, coordinatrice gruppo di lavoro sulla Finanza Sostenibile e ordinaria di econometria, sottolinea come "anche chi raggiunge posizioni apicali deve spesso affrontare il peso di aspettative non equilibrate. La sensazione di dover dimostrare costantemente il proprio valore è diffusa, così come la necessità di impegnarsi il doppio per essere ascoltate. A volte, nel tentativo di affermare la propria autorevolezza, può emergere la tentazione di adottare atteggiamenti più rigidi, persino nella modulazione della voce. Tuttavia, la sfida non è conformarsi a modelli preesistenti, ma costruire uno stile di leadership che valorizzi davvero la pluralità di esperienze e punti di vista".
Per rispondere a queste criticità, Grins ha messo in campo una serie di misure per garantire pari opportunità in ogni fase del progetto, dalla selezione del personale alla gestione delle attività di ricerca. Un focus particolare è stato posto sul reclutamento, con l’obiettivo di superare il 40% del personale RTDA fosse composto da donne, incluse assegniste di ricerca e dottorande. Per raggiungere questo traguardo, il progetto ha adottato pratiche di selezione inclusive, con l’uso di annunci a linguaggio neutro e la più ampia diffusione delle opportunità anche su canali specifici rivolti alla comunità scientifica femminile.
Angela Stefania Bergantino, e lei stessa coinvolta nei Consigli di Amministrazione di società quotate in borsa, riflette sui risultati ottenuti: ""Nel progetto Grins abbiamo certamente raggiunto la soglia del 40% prevista dal PNRR. Questo è stato possibile anche grazie alla trasversalità delle scienze sociali, come l’economia, che presentano una distribuzione di genere più equilibrata rispetto alle discipline STEM. Tuttavia, la vera sfida del PNRR riguarda il futuro di questi giovani talenti: come garantire loro opportunità di crescita e stabilizzazione contrattuale? E, allo stesso tempo, come facilitare il passaggio di alcuni di loro dal mondo accademico alle aziende, assicurando una continuità professionale? Se da un lato il PNRR ha incentivato il reclutamento di giovani ricercatrici e ricercatori” - continua Bergantino - “dall’altro resta cruciale assicurare che queste professionalità non si disperdano al termine del finanziamento, ma trovino un terreno fertile per consolidare le proprie carriere, sia in ambito accademico sia industriale. Questo aspetto è ancora più significativo al Sud, dove il mercato del lavoro è più rigido, più ampio è il gap salariale e minori sono le opportunità all’interno delle Università e dei centri di ricerca: ecco, la vera sostenibilità territoriale - tema cardine di Grins - passa per interventi diretti a garantire l’eguaglianza delle opportunità su tutto il territorio nazionale”.
Lo rimarca anche Monica Billio dicendo quanto il rapporto con le imprese giochi un ruolo chiave.
“È necessario costruire percorsi di transizione strutturati, che favoriscano l’inserimento di talenti altamente formati anche nel settore privato attraverso partnership strategiche, programmi di dottorati industriali e contratti di ricerca in azienda. L’esperienza del progetto Grins dimostra come la presenza femminile possa essere rafforzata attraverso politiche di reclutamento inclusive, ma per garantire una reale continuità professionale è fondamentale che anche il mondo del lavoro e produttivo si allinei a questi principi”.
Ma queste discriminazioni non si fermano al campo dell’accademia, come comunemente intesa, e dell’impresa. Anche nelle organizzazioni intergovernative di più alto livello si assiste a uno sbilanciamento verso il genere maschile. Un esempio su cui si è discusso in passato è Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), come testimonia un articolo di Nature.
“Sappiamo che le donne stanno via via guadagnando più visibilità nei negoziati sul clima - commenta Cristina Cattaneo, membro del CdA di Grins e ricercatrice presso il CMCC - ma la parità di genere nella ricerca e nelle istituzioni scientifiche, incluso l’IPCC, è ancora lontana. Nonostante il numero di esperte coinvolte nei rapporti IPCC sia aumentato dagli anni ’90, persistono squilibri e barriere che ne limitano la partecipazione. Per analizzare queste disparità e proporre soluzioni per ridurre gli ostacoli strutturali alla realizzazione della parità di genere in panel intergovernativi, l’IPCC ha istituito un Task Group on Gender”. La Task Force ha proposto azioni concrete, tra cui la condivisione delle migliori pratiche, una maggiore attenzione nella selezione degli autori e redattori dei rapporti dell’IPCC per garantire una rappresentanza crescente delle donne, la formazione su pratiche inclusive e l’adozione di un processo decisionale basato sul consenso, affinché le voci femminili non vengano ignorate".
Oltre alle politiche di reclutamento e alla creazione di ambienti di lavoro più equi, un aspetto fondamentale per incoraggiare le giovani studiose a intraprendere carriere scientifiche è la rappresentazione delle donne di scienza nei media e nei contesti pubblici accademici. Troppo spesso, infatti, il contributo femminile nella ricerca viene sottovalutato o oscurato, con la conseguenza che i modelli di riferimento per le nuove generazioni risultano limitati. Una maggiore visibilità di scienziate e ricercatrici nei panel accademici, nelle conferenze e nei media specializzati è essenziale per cambiare questa narrazione e per normalizzare la presenza femminile nei ruoli di leadership scientifica.
Un esempio concreto di lavoro su questo fronte è l’iniziativa Women in Economics, che da anni si impegna a monitorare e denunciare la scarsa presenza di economiste nelle conferenze e nei dibattiti pubblici, promuovendo al contempo una maggiore inclusione e visibilità delle esperte del settore. Questo tipo di pressione collettiva è cruciale per garantire che le scienziate non siano solo una minoranza simbolica, ma abbiano un ruolo attivo e riconosciuto nella costruzione del sapere.
La presenza nei media, infatti, permette di accedere a un pubblico più ampio, soprattutto oggi in un’epoca di social media e video virali. Tuttavia spesso e volentieri le poche donne che prendono parte al dibattito subiscono un trattamento diverso rispetto agli uomini. Un esempio su tutti fu quello che riguardò l’economista Isabella Weber, professoressa di economica all’University of Massachusetts Amherst. Nel dicembre del 2021, Weber pubblicò un editoriale sul The Guardian, in cui sosteneva l’importanza del controllo strategico dei prezzi in un momento di pressioni inflazionistiche. Quell’articolo venne duramente criticato dalla comunità economica, con toni ben differenti rispetto a quelli riservati a colleghi maschili. Il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, qualche giorno dopo, si scusò per i toni accesi con cui aveva criticato Weber.
"La presenza nei media conta", conclude Angela Stefania Bergantino. "Non si tratta solo di visibilità, ma di accesso alle opportunità e alla costruzione del sapere. Troppo spesso, le donne di scienza restano ai margini dei panel accademici e dei media specializzati, privando le nuove generazioni di modelli di riferimento solidi. E questo influisce direttamente sulla scelta di intraprendere, o meno, una carriera scientifica”.
Non basta aumentare il numero di ricercatrici nei team di lavoro: è fondamentale garantire loro spazio e voce nei processi decisionali, nelle conferenze internazionali, nei consigli scientifici. La vera sfida è trasformare la rappresentanza simbolica in partecipazione reale. E per farlo, non possiamo limitarci a chiedere alle donne di prendere parola: dobbiamo assicurarci che abbiano davvero la possibilità di prenderla”.
Fondazione GRINS
Growing Resilient,
Inclusive and Sustainable
Galleria Ugo Bassi 1, 40121, Bologna, IT
C.F/P.IVA 91451720378
Finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Missione 4 (Infrastruttura e ricerca), Componente 2 (Dalla Ricerca all’Impresa), Investimento 1.3 (Partnership Estese), Tematica 9 (Sostenibilità economica e finanziaria di sistemi e territori).