Pubblicato il: 11-11-2024
Condividi
Condividi
Ma come? Ricorrendo per esempio ad un tecnica nota come “nudging” che peraltro viene applicata a diversi e numerosi ambiti sociali oltre a quello della sostenibilità ambientale e alla lotta al cambiamento climatico. Si tratta di una tecnica di soft power che evita il muro contro muro tra la necessità di affrontare la crisi del clima e l’idea di mantenere inalterati i livelli produttivi e occupazionali.
Ma le buone intenzioni non bastano. Non sempre tutto va per il verso giusto, e sbagliando strategia c’è il rischio di sprecare risorse, quando non quello di ottenere l’effetto contrario.
Tra gli obiettivi di Grins c’è proprio quello di comprendere come questo genere di interventi, finalizzati a guidare il comportamento degli individui, possano aiutare a contenere l’impatto ambientale.
Un nuovo studio pubblicato di recente da ricercatori e ricercatrici della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici per lo Spoke 6 aggiunge un tassello alla conoscenza consolidata. Vediamo, cominciando da una premessa: non sempre facciamo quello in cui diciamo di credere, soprattutto quando si tratta di scelte di acquisto.
Avere a cuore la sostenibilità non significa “agire green”. Un articolo della Harvard Business Review del 2019 sottolineava proprio questo aspetto apparentemente controintuitivo. I numeri parlano chiaro. “In un recente sondaggio – scriveva la rivista – il 65% degli intervistati diceva di voler comprare brand etici che difendono la sostenibilità”. Il punto è che “solo il 26% intreprende azioni e comportamenti in linea con questa ambizione”. E ancora: “Unilever stima che circa il 70% della propria impronta serra dipenda da quali [tra i propri] prodotti i consumatori scelgono di acquistare e dal fatto che li utilizzino o meno in maniera sostenibile – per esempio, risparmiando acqua ed energia quando fanno partire la lavatrice o riciclando i contenitori in maniera adeguata dopo averli usati”.
Marketing, economia, psicologia: tre discipline si intersecano in questo ambito. “C’è una buona notizia”, prosegue il magazine dell’università americana, ed è che “gli accademici hanno imparato molto riguardo a come allineare le scelte dei consumatori con le loro preferenze dichiarate”. Ma, prosegue l’articolo, “gran parte della ricerca si è focalizzata su interventi pubblici dei policy maker”. Queste scoperte possono invece essere sfruttate non solo da chi governa, ma anche “da ogni organizzazione che intende spingere i consumatori verso acquisti e comportamenti sostenibili”.
La ricerca del CMCC, realizzata entro le attività dello Spoke 6 di Grins e pubblicata sul Journal of Environmental Economics and Management, affronta proprio questo aspetto. Con una prospettiva nuova: se le campagne di comunicazione si dimostrano efficaci nello spingere i consumatori a preferire determinati comportamenti, troppi interventi di questo tipo, tutti assieme, rischiano di non raggiungere l’obiettivo. Anzi, paradossalmente, di essere controproducenti.
“Policymaker e aziende usano spesso i behavioral interventions per promuovere il comportamento sostenibile in vari ambiti” dice Cristina Cattaneo del Cmcc, tra le autrici del lavoro. “Ma per valutare correttamente l’impatto delle campagne è necessario guardare oltre l’ambito trattato dall’intervento, e allargare lo sguardo valutando anche le sue interazioni con interventi simili”.
“Lo studio ha monitorato l’impatto di una campagna informativa biennale condotta da una società multiservizi con sede nell’Italia centrale per promuovere il risparmio di acqua tra i propri clienti” spiega la ricercatrice. “L’attività prevedeva l’invio di un rapporto mensile che mostrava un dettaglio dei consumi propri e di altre famiglie simili, a un certo numero di utenti; a un gruppo di controllo, invece, non veniva inviato nulla”.
“Poichè i consumatori spesso trovano piuttosto complesso interpretare le bollette, l’invio di informazioni in forma semplificata risulta molto utile e molte società lo fanno. Questi strumenti possono avere anche una certa funzione proattiva per ridurre i consumi, che sfrutta il concetto di “norma sociale”: se una persone simile a me intraprende un comportamento virtuoso, sono incentivato a fare altrettanto, per imitazione”.
“Di solito – prosegue Cattaneo – questo tipo di studi valuta solo l’efficacia della campagna in oggetto: la nostra idea, invece, era di valutare se fossero presenti effetti di spillover, se, cioè, il report - oltre a guidare le scelte di consumi di acqua – influenzasse anche il consumo di altre risorse, come gas e elettricità, nonostante queste ultime non fossero oggetto della campagna informativa”.
I ricercatori di Grins hanno riscontrato che l’invio per mail di un rapporto di questo genere che sintetizza i consumi di acqua e semplifica la lettura dei dati “dimininuisce significativamente l’uso della risorsa dell’1,4%, e ha un impatto anche sull’uso di elettricità, che scende dello 0,5%. Nel biennio considerato non ha avuto, però, alcun impatto sui consumi di gas”. I dati sono in linea con quelli riscontrati in altre ricerche simili condotte in Europa.
Alla luce dei riscontri, e l’efficacia di questo tipo di comunicazione, si potrebbe immaginare che inviando diversi rapporti (uno per fornitura: acqua, luce, gas) gli effetti si sommino, diminuendo così gli sprechi.
I dati, però, smentiscono questa tesi. “Al contrario: l’impatto dell’invio del report è stato massimo per clienti che ne hanno ricevuto uno solo” riprende Cattaneo: “E’ in questo gruppo che i consumi di acqua ed elettricità si sono ridotti di più, rispettivamente del 2,4% e 1,7%”. Una differenza sensibile.
La spiegazione, secondo i ricercatori, si deve al fatto che l’attenzione del consumatore è una risorsa scarsa. “L’utente ha una capacità limitata di reagire a stimoli multipli” sottolinea la ricercatrice. “Perciò, in sostanza, spedire un report in più si riduce l’attenzione che l’utente presta agli altri”, rischiando di vanificarne gli effetti.
Come tradurre, allora, queste evidenze in azioni pratiche? “Possiamo immaginare che un buon modo per ridurre lo sforzo cognitivo e quindi aumentare l’efficacia delle campagne di sensibilizzazione sia quello di costruire un unico report combinando le diverse risorse” conclude Cattaneo, che però precisa che l’argomento è ancora oggetto di studio.
Fondazione GRINS
Growing Resilient,
Inclusive and Sustainable
Galleria Ugo Bassi 1, 40121, Bologna, IT
C.F/P.IVA 91451720378
Finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Missione 4 (Infrastruttura e ricerca), Componente 2 (Dalla Ricerca all’Impresa), Investimento 1.3 (Partnership Estese), Tematica 9 (Sostenibilità economica e finanziaria di sistemi e territori).